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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2012 alle ore 12:34.

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La Germania è il Paese più virtuoso e potente dell'area euro. Lo dicono i numeri del Pil e sulla solidità dei conti (è riuscita per ora a evitare la recessione a differenza degli altri big, e non solo, dell'area). Ed è lo stesso Paese che fino ad oggi si è opposto più duramente alle modifiche dei trattati europei e all'introduzione degli EuroUnionBond facendo leva sul principio di unanimità che regola (ma irrigidisce) il meccanismo riformatore dell'Eurozona.

Ma negli ultimi giorni il "nein" di Angela Merkel a modifiche statutarie che implicano una maggiore condivisione degli oneri dell'appartenza all'euro ha iniziato a scricchiolare. La stessa cancelliera - quando mancano 22 giorni al vertice di Bruxelles in cui sarà presentata la prima bozza dei riforma dell'Unione monetaria e in vista del quale Il Sole 24 Ore ha lanciato l'iniziativa "Manifesto per gli Stati Uniti d'Europa" - ha aperto qualche spiraglio alla creazione di un'unione bancaria europea su cui, per stessa ammissione del governatore della Bce Mario Draghi, i cantieri sono ufficialmente aperti. Apertura che arriva quando la Borsa tedesca ha fatto segnare nell'ultima settimana la performance peggiore tra le Borse del Vecchio Continente e nel momento in cui Moody's ha tagliato il rating di 4 banche tedesche (tra cui la seconda del Paese, Commerzbank) mettendo sotto osservazione Deutsche Bank.

L'augurio è che davvero questa volta qualcosa di concreto esca dai palazzi di vetro di Bruxelles, dopo che difatti gli ultimi 24 vertici si sono conclusi con sostanziali "nulla di fatto" o, per dirla con un po' di retorica, con una strategia "wait and see".

Resta il fatto che il mix tra "wait and see" e "nein" ha fatto sì che nel frattempo i problemi irrisolti dell'Eurozona e dei Paesi periferici si siano amplificati, complice l'allargamento degli spread tra i rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi con conti pubblici meno virtuosi e quelli del Bund tedesco.

E qui arriva il primo dato che dà la dimensione di quanto la Germania fino ad oggi stia tecnicamente beneficiando, in termini finanziari ed economici, da questa crisi. Nei giorni scorsi il Bund tedesco a 10 anni prezzava un rendimento dell'1,345% annuo, mai così basso nella storia. Se si depura questo tasso per l'inflazione (che viaggia oltre il 2%) si ottiene un rendimento reale negativo. Dato che, letto al contrario, equivale a una sorta di ristrutturazione gratuita del debito pubblico tedesco. Niente male, come vantaggio in tempi di crisi.

Anche perché questo avviene mentre i vicini, quelli più a Sud, annaspano, costretti a pagare rendimenti reali da record sul debito. E qui arriva il secondo vantaggio della Germania da questa crisi, questa volta più economico che finanziario. Negli ultimi mesi è infatti aumentato lo shopping della Germania di imprese italiane ed europee a prezzi scontati.

Ma non finisce qui. La Germania, quello stesso Paese che nel 1997 pagava sui Bund a 10 anni un tasso del 5,5%, non lontano dal 6,1% dei BTp di quel tempo, funziona alla grande con l'euro. Lo dimostrano i dati sulla bilancia dei pagamenti correnti (che registra tutte le transazioni economiche di un Paese tra residenti e non residenti e quindi anche il saldo import-export). Dal 1989 al 2000 (quindi in piena fase pre-euro) la bilancia dei pagamenti correnti della Germania era in rosso per 126 miliardi. Dal 2001 al 2012 (qundi in piena fase euro, comprendendo anche l'attuale fase di crisi dei Paesi periferici) è balzata in positivo a quota 1.791 miliardi (dati Bloomberg rilanciati dalla trasmissione televisiva "Mercati, che fare" di Banca Mediolanum). E l'Italia? Prima dell'introduzione dell'euro aveva una bilancia dei pagamenti correnti positiva (53 miliardi) contro -388 accusati nel periodo successivo.

Dati che si vanno ad aggiungere nella lista degli onori per la Germania dall'ingresso nell'euro. Quanto agli oneri, forse è arrivato il momento di condividerne qualcuno evitando di imporre che Paesi con storie sociali, politiche ed economiche completamente differenti adottino a tutti i costi e subito, a suon di austerity, il suo pur eccellente modello di economia sociale basato sul principio di sussidiarietà. Questo può certamente diventare il modello sociale della nuova visione d'Europa. A patto però che la Germania, lo stesso Paese dove "debito" e "colpa" si dicono allo stesso modo (schuld), faccia un passo indietro (o in avanti?) e guardi al di là dei propri confini.

www.twitter.com/vitolops

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