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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2013 alle ore 07:00.

L'inflazione è un bene o un male? Da anni gli economisti delle varie scuole di pensiero dibattono sugli effetti positivi e negativi che un rincaro dei prezzi può avere su un sistema economico.
È un tema talmente controverso a tal punto che non sono d'accordo neppure l'Unione europea e il Fondo monetario internazionale che, pure, in compagnia della Banca centrale europea, fanno parte di quella Troika che controlla puntualmente la messa a punto di misure di austerity pretese verso quei Paesi (al momento Grecia, Irlanda e Portogallo) che hanno chiesto in cambio aiuti per foraggiare il proprio debito.
Per ciò che attiene all'Europa è stato stabilito che un livello prossimo, ma inferiore al 2%, indica la stabilità dei prezzi. La stabilità dei prezzi è anche l'obiettivo della Banca centrale europea (mentre la Federal Reserve si occupa anche della crescita economica e del contenimento della disoccupazione). A dir la verità il Trattato di Maastricht non cita percentuali ma nell'ottobre del 1998 il Conisglio della Bce ha fatto chiarezza annunciando una definizione quantitativa di stabilità dei prezzi: «un aumento sui 12 mesi dell'Indice armonizzato dei prezzi al consumo (Iapc) per l'area dell'euro inferiore al 2%» specificando inoltre che essa deve essere preservata su «un orizzonte di medio termine».
Pertanto, come si legge nei documenti europei il Consiglio direttivo cerca di mantenere l'inflazione su un livello inferiore ma prossimo al 2% nel medio periodo (con l'adozione del Trattato di Lisbona nel 2009 la stabilità dei prezzi è diventato un obiettivo dell'Ue).
Diversa l'opinione di Olivier Blanchard, capo economista del Fondo monetario internazionale, secondo cui sarebbe bene alzare la soglia obiettivo dell'inflazione al 4%, in modo tale da dare alle banche centrali più spazio per agire. Perché dal 2% si fa presto a scendere sotto zero, sperimentando quindi lo spettro delle deflazione (tra i principali nemici di un sistema economico in quanto disincentiva i consumi). Con una soglia del 4%, invece, le banche centrali avrebbero più munizioni, una volta esaurite le manovre sui tassi, per affrontare una crisi. Senza che lo Stato sia costretto a toccare la leva fiscale.
Meglio quindi il 2 o il 4%? Nell'attesa che Unione europea e Fmi si mettano d'accordo i Paesi europei devono prendere per buona la soglia del 2%. E questo ci porta a un altro tema da agganciare al discorso e che riguarda strettamente i 17 Paesi dell'area euro, ovvero quelli che hanno sposato un sistema monetario a cambio rigido convertendo le rispettive valute nell'euro.
Il cambio è fisso mentre l'inflazione è variabile. Ne consegue che i Paesi che riescono a tenerla più bassa di altri, che sono sì geograficamente vicini ma anche competitori nella dinamica delle esportazioni e delle importazioni di merci e capitali, in pratica effettuano una sorta di svalutazione monetaria indiretta. Ed è quello che sta succedendo a Germania e Francia rispetto a Paesi come Italia, Spagna e Portogallo.
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