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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2013 alle ore 15:52.
Investire in Italia? Impossibile. L'imprenditoria cinese boccia nei fatti l'appello dell'ex premier Mario Monti a venire nella penisola. Il bilancio è impietoso: mentre nel nostro Paese le imprese cinesi sono una trentina, in Germania sono un migliaio. L'Italia è, dati alla mano, terra ostile per gli imprenditori cinesi. A denunciarlo è Zhang Gang, delegato generale del Ccpit (China Council for the Promotion of International Trade) di Milano. «Burocrazia - dice all'Adnkronos - troppe tasse e disattenzione istituzionale» sono alcuni dei deterrenti all'attività imprenditoriale cinese in Italia.
La denuncia arriva proprio mentre in Italia e nel sud Europa in realtà, come documentato dall'ultimo bollettino di Bankitalia, è ripreso un afflusso di capitali stranieri.
Un'Italia, quella tratteggiata Zhang, che sembra dunque indifferente alle opportunità di commercio con la seconda economia mondiale. Si mostra «collaborativa solo a parole - spiega il delegato - ma non nei fatti. Nella penisola per gli imprenditori cinesi e' difficile persino organizzare gli impegni quotidiani».
Dal mandare i figli a scuola al guidare l'automobile, dall'ottenere il visto al trovare intese coi sindacati, tanti sono gli impedimenti all'avvio di aziende da parte di businessman della Repubblica popolare evidenziati dal delegato generale. Gli industriali cinesi preferiscono altre economie europee: a partire dalla Germania dove gli investimenti cinesi sono i benvenuti e agevolati. Ma non solo. Gli imprenditori della Terra di mezzo si trovano meglio anche in Svizzera dove negli ultimi anni hanno aperto la sede 80 aziende.
Più numerosi gli insediamenti in Francia, dove stanno sviluppando il loro business 160 imprese. Intimorisce i cinesi anche il fronte della giustizia italiana: «In particolare - spiega Zhang - i tempi lunghissimi della giustizia, per cui una causa dura in media 7 anni e mezzo». E ancora: l'assenza di mobilità dei lavoratori costituisce un ulteriore intralcio.
Secondo il delegato generale, che si dice stupito per l'incapacità italiana di cogliere appieno le opportunità di scambio commerciale colla Cina, «Il numero delle imprese cinesi in Italia raddoppierebbe, passando dalla trentina attuale ad almeno sessanta, se non ci fosse la barriera della burocrazia».
Zhang ricorda che compito del Ccpit in Italia è quello di favorire la cooperazione commerciale sino-italiana, tema verso il quale le istituzioni italiane gli sembrano poco ricettive: «Sono arrivato in Italia - spiega - ad aprile di quest'anno. Sono stato in sei regioni italiane: in ognuna di esse ho atteso con ansia l'inizio di una collaborazione con amministrazione locale e Camera di Commercio per aiutare l'export italiano verso la Cina, ma sebbene le istituzioni si siano sempre dette ben disposte, in effetti non hanno mai fatto nulla. Prima mi dicevano 'Ok!, bene!', con entusiasmo, poi non si attivavano, lasciando morire l'iniziativa».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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