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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2013 alle ore 10:46.

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(Corbis)(Corbis)

Le attenzioni mediatiche sono concentrate sulle elezioni in Italia. Ma i numeri che arrivano dalla vicina Francia meritano comunque grande attenzione in un anno, il 2013, destinato ad essere il banco di prova per l'economia parigina, che è in netta frenata. Ieri il ministro degli Esteri Laurent Fabius ha ammesso che la crescita per l'intero 2013 non andrà oltre lo 0,2-0,3%, e sarà in ogni caso lontana dall'obiettivo dello 0,8%. Di questo passo si complica la strada intrapresa da Parigi di abbattere il deficit/Pil dal 5,7% (vicino al doppio rispetto al 3% previsto come soglia massima dai trattati di Maastricht) all'1% entro il 2015. Soprattutto se si considera che la spesa pubblica francese (comprendendo sia quella produttiva che muove il Pil che quella improduttiva) supera il 50% e supera ampiamente persino la tanto criticata spesa pubblica italiana. In crescita è anche la disoccupazione (ha superato il 10%) mentre il debito/Pil punta dritto a quota 90%. Senza dimenticare la bilancia commerciale in deficit di 67 miliardi nel 2012.

Oltre ai dato macro, preoccupano anche le notizie che arrivano dalle aziende big. Oggi Credit Agricole ha annunciato un rosso record per il 2012 (-6,5 miliardi). Mentre France Telecom ha chiuso l'anno con un calo degli utili del 30,7%.

Mentre la Germania pare stia dando incoraggianti segnali di ripartenza dopo lo stallo nel 2012, i segnali che arrivano dalla Francia sono nel complesso meno rassicuranti. È vero che la fiducia delle imprese francesi è migliorata nel mese di febbraio, salendo a 90 punti rispetto agli 87 di gennaio. Ma - ha resto noto l'Ufficio nazionale di statistica (Insee) - l'indice «rimane ben al di sotto della media di lungo periodo».

Insomma, i dati indicano che Parigi è in questo momento come un pendolo che oscilla tra la stagnazione e un timido tentativo di ripresa. Basterà questo per rilanciare i conti entro il 2015 come promesso, prima da Sarkozy e poi dal suo successore Hollande?

L'asse con la Germania
Secondo gli analisti uno dei punti di forza su cui si regge la Francia in questa fase di difficoltà dell'Europa e la sua vicinanza geografica e politica con la Germania. Per questo motivo lo spread tra Oat francesi e Bund tedeschi viaggia intorno ai 60 punti, livelli che l'Italia non vede ormai da cinque anni.

Le svalutazioni competitive
Un altro punto di forza riguarda l'inflazione. Proprio oggi sono arrivati i dati sui prezzi al consumo in Francia a gennaio, scesi dello 0,5% mentre su base annua sono cresciuti dell'1,2%. Gli analisti si aspettavano rispettivamente un calo più contenuto dello 0,3% e un incremento dell'1,4%. Leggendo questo dato in un confronto macro con gli altri Paesi dell'area euro, ciò sta a significare che la Francia sta effettuando una sorta di svalutazione competitiva sul cambio. Perché, a parita di valuta (quindi in caso di cambio rigido come accade per tutti i 17 Paesi che appartengono all'area euro) i Paesi che hanno un'inflazione più bassa effettuano una sorta di svalutazione implicita rispetto a quelli che vedono crescere di più il livello dei prezzi. Negli ultimi 10 anni, a parte la Germania (prima in questa classifica con un'inflazione media dell'1,69%) la Francia è il Paese dell'area euro che ha tenuto più bassi i prezzi (1,89%) rispetto agli altri. Si pensi che nello stesso periodo l'inflazione in Italia si è attestata al 2,29%, in Spagna al 2,86% e in Grecia al 3,34%.

A questa inflazione implicita se ne inserisce una seconda, come documentato ieri sul Sole 24 Ore.com, di natura fiscale. La Francia ha varato delle riforme atte al contemporaneo aumento dell'Iva-crediti fiscali alle imprese. Una strategia che, rispolverando le teorie di Keynes, prova a dare un po' di benzina a un'economia in riserva.

twitter.com/vitolops

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