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Questo articolo è stato pubblicato il 06 settembre 2013 alle ore 11:48.

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Il debito degli Stati Uniti (101% del Pil) è per buona parte in mano ai cinesi che hanno però negli oltre 300 milioni di consumatori statunitensi un incredibile mercato di sbocco per foraggiare produzione low cost e crescita (è questo l' "equilibrio del terrore" su cui si regge il legame Usa-Cina). La Cina ha poco debito (35%) ma è chiamata nei prossimi anni alla complicatissima sfida di crescere anche per consumi interni (il che vuol dire anche concedere più diritti e aumentare salari e welfare ai propri cittadini).

Insomma, viste ai raggi x le prime quattro economie del pianeta sono profondamente diverse. Una cosa, però, in comune ce l'hanno: cercano a più riprese (e con modalità differenti) di svalutare la propria moneta. Dal 2009 gli Stati Uniti hanno messo a punto tre massicci piani di quantitative easing (iniezioni di liquidità attraverso nuova moneta fresca di zecca) con l'effetto di aumentare la base monetaria e rilanciare l'economia anche attraverso un dollaro più agevole.

Non a caso il dollaro è lontano da quello che per molti analisti sarebbe il fair value con l'euro (1,18): questa mattina un euro viene scambiato sopra quota 1,31 dollari. Senza dimenticare in questo ragionamento la progressiva caduta del dollaro dal 1971 ad oggi, da quando cioà l'allora presidente Nixon decise di venir meno agli accordi di Bretton Woods sganciando con decisione unilaterale la convertibilità oro-dollaro (e dando difatti inizio all'era della moneta fiduciaria).

E la Cina? Per evitare un apprezzamento dello yuan renmimbi (che sarebbe oltremodo traumatico per il Pil) la People's Bank of China ha fissato una banda di oscillazione con il dollaro massima giornaliera nel range -1%/+1% (prima dell'aprile 2012 la banda era addirittura più ristretta a -0,5%/+0,5%). Un modo efficace (e molto criticato dagli Stati Uniti) per tenere a bada la moneta da scorribande all'insù. Quanto al Giappone una cosa è certa: appena la BoJ (la Banca del Giappone) lo lascia andare lo yen corre e si trasforma in superyen.

È per questo che la BoJ, di concerto con il primo ministro Shinzo Abe (in polemica con chi vuole che regni sovrano il principio di indipendenza delle banche centrali) ha dato vita dallo scorso aprile a un massiccio piano di deficit/spending con aumento della base monetaria al ritmo di 700 miliardi di dollari l'anno per due anni. L'obiettivo? Riportare l'inflazione al 2% (e scacciare le ombre della deflazione) e la crescita economica grazie a una valuta più debole (tale da rendere le merci nipponiche più appetibili all'estero).

Siamo alla Germania: con l'ingresso nell'euro ha svalutato il marco del 30-40% dando una spinta esorbitante alle esportazioni, tale da generare ormai un costante surplus commerciale, a livelli cinesi. Non solo, il vantaggio tecnico è doppio: perché alla svalutazione del marco si deve aggiungere la contestuale rivalutazione delle monete dei competitor Paesi periferici dell'Eurozona (Italia e Spagna, ma anche Francia) che di conseguenza - al di là di problemi endogeni su cui bisognerebbe lavorare con urgenza come cuneo fiscale, evasione fiscale, ecc. - sono diventati meno competitivi all'estero perché hanno subito un apprezzamento della valuta, al contrario del "partner" tedesco. Non solo: le rispettive banche nazionali non possono più effettuare operazioni sul mercato dei cambi per effettuare quella che un tempo veniva chiamata "svalutazione competitiva".

Anni fa chi la effettuava (era una delle caratteristiche dell'Italia) veniva criticato ampiamente da quegli stessi Paesi che adesso non stanno facendo molto di diverso, dimostrando di non avere idee migliori se non utilizzare in prima persona, e con ogni mezzo possibile, l'arma della "svalutazione competiva". Con la differenza che adesso c'è chi può e chi no.

twitter.com/vitolops

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