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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2013 alle ore 12:54.

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Ora gli Usa sono «prestatori di ultima» istanza della Borsa Italiana. Fino a dove può arrivare il Ftse Mib?

Non ci sono più dubbi. A trainare Piazza Affari (che viaggia sui massimi degli ultimi due anni ignorando le tensioni internazionali che a questo giro della ruota si chiamano "shutdown" e rischio default degli Stati Uniti a causa del rinnovo del "tetto sul debito") sono gli investitori americani. Immaginate il mondo come un laboratorio di vasi comunicanti. I capitali - da quando ne è consentita la libera circolazione senza freni da un posto all'altro del pianeta dopo il processo di liberalizzazioni avviato negli anni '90 - si spostano dove possono fare più profitti. Restiamo nel laboratorio. Un vaso rappresenta i Paesi emergenti, un altro l'Europa e un altro gli Usa. Cosa sta succedendo?

Molto semplicemente dalla scorsa primavera - da quando si sono fatte più insistenti le voci di un tapering (riduzione del piano di stimoli monetari) da parte della Federal Reserve - i grandi investitori statunitensi hanno iniziato a ritirare la liquidità dal vaso dei Paesi emergenti (con conseguente sgonfiamento della mini-bolla sulle valute di Stati come India, Indonesia, Turchia, ecc.). Questo rischia di avere ripercussioni future sulla bilancia di questi Paesi, in particolare di quelli che hanno una forte dipendenza dall'estero per l'acquisto di materie prime che adesso, con valute deprezzate di circa il 20% sul dollaro, costano di più-

andamento titoli

Allo stesso tempo il ritiro dei capitali dei grandi investitori statunitensi dalle aree emergenti ha fatto sì che questi si son ritrovati con un surplus di liquidità da investire. Bene, in quale vaso la stanno canalizzando? In quello dell'Europa. E, zoomando, in particolare nei recipienti i Italia e Spagna, non a caso quei Paesi dove i listini hanno corso meno nei mesi scorsi e che adesso, in virtù di una situazione governativa un po' più stabile, non rappresentano un pericolo immediato a fronte di un rapporto rischio/rendimento che risulta essere - pur con tutti i problemi del caso - tra i più attraenti.

Non è quindi un caso se due giorni fa negli Stati Uniti i titoli a 12 mesi hanno fatto segnare la peggiore domanda degli ultimi cinque anni, nonostante i tassi proposti fossero ai massimi dal 2009. Non è neppure un caso se l'asta di ieri (21 miliardi di dollari in titoli a 10 anni) la domanda è scesa a 2,58 volte l'offerta. Si è anche assistito a una fuga dai "mutual fund" localizzati in Usa, dai quali, solo nell'ultima settimana, gli investitori hanno ritirato 3,4 miliardi di dollari.

Il tutto mentre Piazza Affari aggiornava i massimi degli ultimi due anni e questa mattina ha proseguito nel trend tornando sui livelli che non vedeva dall'agosto 2011. Ma a questo punto, dato che non vi sono più dubbi sul flusso dei capitali nella teoria dei vasi comunicanti, fino a quando correrà Piazza Affari? Fino a quando gli Stati Uniti si porranno difatti come prestatori di ultima istanza per il FTSE MIB, prima d'ora considerato un listino di minore appeal?

«Piazza Affari potrebbe continuare a crescere anche di un 15% rispetto alle quotazioni attuali. Sempre che dagli Stati Uniti non arrivino shock. È vero che alla fine tutti pensano che un accordo sul tetto al debito (entro il 17 ottbre, ndr) sarà trovato ma è anche vero che nessuno si aspettava il fallimento di Lehman Brothers. Quindi meglio non escludere nessuna ipotesi quando si parla di Stati Uniti - spiega Davide Pasquali, presidente di Pharus Sicav -. In assenza di shocl di tale portata c'è spazio per la Borsa italiana perché gli investitori statunitensi hanno capitali da canalizzare e Milano è una delle Borse che ha corso meno. Ma bisogna fare attenzione: non si tratta di investimenti strutturali, ma semplicemente di un mordi e fuggi».

A parere di Antonio Pace - responsabile divisione Equities di Credit Suisse «dopo quasi sei anni di crisi i mercati non guardano più al solo valore fondamentale di un impresa, ma anche, e soprattutto, al valore relativo della stessa. E da queste analisi emerge chiaramente come l'Europa, e l'Italia soprattutto per alcuni settori, siano relativamente convenienti rispetto ad altri mercati».

Secondo Gabriele Roghi, responsabile della consulenza agli investimenti di Invest Banca «Piazza Affari presenta livelli di sottovalutazione in termini di medie di valutazioni storiche di p/e (prezzo utili, ndr), p/bv (price to book value, ndr) di un buon 50%. La Borsa Usa tratta a multipli elevati al limite della forte sopravvalutazione. Il livello di p/e deciclizzato, vale a dire computando la media degli utili a dieci anni è nel 9° decile più elevato partendo da un secolo a questa parte. Per questo il listino ha margini di rialzo contenuti anche in caso di una ritrovata forza dell'economia già ampiamente prezzata nei prezzi delle azioni. Tornando a Piazza Affari, la bassa redditività media del listino è fortemente influenzata dal peso ancora elevato del comparto finanziario che non ha ancora finito di soffrire. Le banche americane più chiacchierate (Bank of America e Citigroup) non sono però in condizioni migliori delle nostre "malate": godono come tutte le banche Usa del favore di poter prezzare "a piacere" le asset tossiche che hanno in portafoglio grazie alla FAS 157 dell'aprile 2009 - che se applicata alle nostre banche provocherebbe una moltiplicazione del prezzo di molte volte rispetto ai valori attuali. Nel caso inverso, applicando cioè le normative europee più serie alle banche Usa, lo spazio di discesa dei due grandi ex malati a stelle e strisce sarebbe molto grande. Quindi si può pensare che sia logico prendere beneficio sul comparto bancario Usa ed entrare su quello italiano ancora su valutazioni da quasi-fallimento».

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