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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2013 alle ore 08:09.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2013 alle ore 11:31.

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Chi vince e chi perde nella ripartizione della manna da 325 miliardi di euro dei fondi strutturali europei per il periodo 2014-2020? Può sembrare un gioco ma la partita in realtà è molto importante. Dopo il voto avvenuto in plenaria dell'Europarlamento a Strasburgo sul bilancio pluriennale 2014-2020, la partita ai supplementari sui fondi Ue per i prossimi sette anni (speriamo di vacche grasse dopo i quasi sette anni di vacche magre) si può considerare finita ed è tempo di consuntivi.

Bruxelles metterà a disposizione 325 miliardi di fondi strutturali da ripartire tra i 28 Paesi Ue. Per l'Italia questo significa una dote che passa da 27 a 31,8 miliardi, di cui due miliardi e mezzo in più al Centro-Nord rispetto al periodo 2007-2013 con i maggiori benefici per Lombardia e Lazio, che guadagnano rispettivamente 830 e 417 milioni. Almeno va in questa direzione la proposta tecnica di riparto dei 7,8 miliardi di fondi Ue dell'obiettivo Competitività per il 2014-2020 presentata ai rappresentanti delle regioni del Centro-Nord nei giorni scorsi.

Poi sarà la volta della dotazione per le regioni del Mezzogiorno per spartire i 22,8 miliardi di risorse dell'Obiettivo Convergenza disponibili e della nuova categoria di regioni di transizione (Sardegna, Abruzzo e Molise) che devono dividersi 1,125 miliardi. Insomma l'Italia ha fatto bingo e ora spetta alle regioni non disperdere la manna che in passato non è stata sempre messa a buon frutto con la dovuta efficienza.

E come è andata agli altri 27 paesi dell'Unione?

Primo punto da sottolineare: la nuova allocazione di fondi scende rispetto al precedente bilancio pluriennale (2007-2013) che si era attestata a 347 miliardi di euro. Dopo le proteste britanniche di Cameron (che ha mantenuto lo sconto della Thatcher) e le resistenze di Berlino la somma finale si è ridotta a 325 miliardi di euro (-7% di sforbiciata).
Detto questo vediamo chi vince e chi perde nella nuova distribuzione dei fondi. Più in generale cresce la percentuale di fondi spettante all'Europa centro-orientale (177,57 a 180,93 miliardi, +2,6%) rispetto a quella dell'Europa Occidentale (169 miliardi a 140 attuali, -16%).

In dettaglio guadagnano la Polonia del premier Tusk (da 67 a 72 miliardi, +7,2% la Slovacchia (da 11 a 13, +11,6% con cui conquista la maglia rosa per il maggior incremento nell'area), la Romania (da 19,67 a 21,83, +11%), la Bulgaria (da 6,8 a 7,15, +4,4%), la Croazia appena entrata e che incassa 8miliardi di euro netti in più per le sue infrastrutture.
Perdono fondi europei, invece, la Repubblica ceca (da 26,93 a 20,58, -23%), l'Ungheria (da 25,31 a 20,50, -19%), la Slovenia (da 4,21 a 2,89, -31,3%) . Un brutto colpo per Lubiana che conquista la "maglia nera" con il 31,3% di riduzione dei fondi in un momento molto difficile per le sue finanze pubbliche e a rischio di dover chiedere gli aiuti all' ESM e all'Fmi per ripagare i suoi bond in scadenza.

Comunque va osservato che nell'Europa centro orientale i fondi strutturali sono diventati sempre più rilevanti, pesano tra il 2 e il 3% del Pil e spesso superano gli investimenti diretti esteri. Che ci sia una nuova ripartizione all'interno degli stessi Paesi dell'Europa centro orientale può stupire fino a un certo punto, quando scopriamo che conti alla mano la Polonia, Romania, Slovacchia e Bulgaria aumentano i fondi a loro disposizione, mentre calano i flussi per Slovacchia, Ungheria e Repubblica ceca. Evidentemente le esigenze sono ancora diverse tra i cugini centro-orientali.

Ciò che sorprende di più però è constatare che i fondi crescono anche per l'Italia (forse per una maggiore capacità contrattuale a Bruxelles del nostro Governo o per una difficile situazione infrastrutturale delle nostre regioni) mentre scendono i fondi riservati a Spagna e Grecia (meno 6 miliardi di euro). Forse perché sia la Spagna che la Grecia hanno già ricevuto molto del bilancio precedente, senza contare gli aiuti finanziari per la crisi del debito. Quanto ai francesi restano stabili, segno di un paese troppo immobile in tutti i sensi.

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