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Questo articolo è stato pubblicato il 28 novembre 2013 alle ore 12:55.
L'ultima modifica è del 28 novembre 2013 alle ore 18:12.

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Chissà come gli storici fra mille anni definiranno l'inizio del terzo millennio. Ci sono state le glaciazioni, c'è stata l'era paleolitica. E adesso, (fanta)numeri alla mano, stiamo vivendo nell'era della liquidità. Un'era in cui le banche centrali sono protagoniste più dei singoli governi nell'influenzare le scelte e le politiche economiche. Perché sono loro a pompare soldi nel sistema economico globalizzato.

Qualche numero? Basta guardare gli attivi dei bilanci delle banche centrali per avere un'idea di quanta liquidità sia stata immessa negli ultimi anni. L'attivo della Federal Reserve degli Stati Uniti è passato dagli 869 miliardi di dollari di inizio agosto 2007 – prima che scoppiasse la bolla dei derivati subprime – a 3.038 miliardi. Il Giappone ha annunciato che stamperà l'equivalente di 700 miliardi di dollari l'anno per due anni. Mentre la Bce oltre ad abbassare i tassi portandoli fino allo 0,25% e ad azzerare quelli sui depositi ha prestato a 800 banche europee 1.000 miliardi di euro tra fine 2011 e inizio 2012 (la maggior parte dei quali è però rientrata). Una montagna di soldi che sta spingendo i listini azionari verso nuovi territori inesplorati (record storico per Wall Street e Francoforte, Tokyo ai massimi da sei anni, ecc.) e sta livellando i rendimenti sui mercati obbligazionari, compresi quelli che fino a pochi anni fa erano considerati bollenti (come Spagna e Italia dove oggi sono stati collocati BTp a 10 anni al tasso del 4,01%).

Purtroppo all'aumento della base monetaria non è seguito un corrispondente aumento di offerta di moneta nell'economia reale. Questo spiega anche perché il Pil dell'Eurozona arranca con alcuni Paesi (Italia compresa) scivolati nel 2012-2013 nella doppia recessione (double dip) dopo quella pesantissima del 2008-2009. Adesso, quando per il 2014 si intravedono timidi segnali di ripresa la politica ultra-espansiva delle banche centrali (in particolare Fed e Bank of Japan) arriva a un bivio. Nel 2014 la Federal Reseve dovrebbe avviare il tapering, ovvero un piano di riduzione graduale degli stimoli monetari che attualmente viaggiano al ritmo di 85 miliardi di dollari al mese. In pratica la Fed ogni mese acquista sul mercato secondario 45 miliardi di titoli di Stato e 40 miliardi di titoli agganciati ai mutui. Da chi li compra? Da banche e investitori istituzionali che da quattro anni a questo parte (quando è stato avviato il primo di tre piani quantitative easing, che è l'esatto opposto del tapering) hanno potuto contare tutti i mesi su una abbondante fonte di liquidità.

Cosa accadrà nel 2014 quando la Fed (se manterrà le promesse) avvierà il tapering e inizierà a ridurre via via gli stimoli fino ad azzerarli? Un abbozzo di quello che potrebbe succedere lo si è visto nel maggio scorso, quando si è iniziato a parlare per la prima volta di tapering. La reazione dei mercati è stata netta: i tassi dei titoli di Stato sono tornati in una fase di turbolenza prendendo la strada del rialzo. I titoli americani a 10 anni sono risaliti al 3%, il rispettivo Bund tedesco sopra il 2% e così via. In forte rialzo anche i titoli di Stato americani a 30 anni, seguiti molto da vicino dalla Fed perché a questi tassi sono agganciate le rate dei mutui negli Usa. Se questi dovessero salire, come probabile in caso di chiusura dei rubinetti da parte della Fed, potrebbero ritornare problemi sui mutui e sul mercato immobiliare a cui è agganciata la ripresa dell'economia a stelle e strisce. Questo, ovviamente, non sarebbe solo un problema americano ma potrebber (ri)estendersi anche altrove dato che dallo scoppio della crisi dei derivati subprime nel 2007 il numero dei derivati in circolazione è paradossalmente aumentato. A dimostrazione che la storia si ripete e che in questi anni la politica non è riuscita a mettere un freno con nuove regole alla finanza.

Il tapering (e le sue possibili) conseguenze preoccupa anche la Banca centrale europea. Non a caso oggi il Financial Times titola "Ecb warns over taper threat". Questo perché ieri la Bce ha pubblicato un report in cui indica le preoccupazioni per un eventuale shock che avrebbe un rialzo futuro dei tassi sui bond sull'economia reale. Aumenterebbero anche i tassi sui debiti e di conseguenza le insolvenze potrebbero amplificarsi, vanificando i segnali di ripresa.

Insomma, l'era della liquidità, oltre a rimandare all'infinito problemi connessi ai rischi di inflazione che derivano da roboanti immissioni di denaro nell'economia slegate da processi produttivi, deve adesso affrontare il pericolo di un rialzo dei tassi sui bond che verrebbe innescato non appena una banca foraggiatrice (come la Fed) decidesse di chiudere del tutto i rubinetti.

Una soluzione tampone è però all'orizzonte. Cresce il numero di operatori che ipotizza che nel 2014 ci sarà una sorta di staffetta tra Fed e Bce (senza dimenticare la Bank of Japan che dovrebbe continuare a pompare denaro) nel "drogare" i mercati di liquidità. Anche perché il bilancio della Fed è cresciuto dell'80% negli ultimi 5 anni, mentre il bilancio Bce è cresciuto solo del 15% nello stesso periodo perché i due Ltro, che avevano fatto si crescere in primo momento il Bilancio fino ad un +50%, ora vengono restituiti. Insomma, la Bce ora si trova a dover scegliere una altra strada per intensificare il meccanismo di trasmissione della sua politica monetaria.

Secondo Nouriel Roubini il governatore Mario Draghi non avrà problemi a vincere la sfida nel direttivo Bce con i falchi contrari a politiche espansionistiche (capeggiati dal tedesco Jens Weidmann che teme, essendo la Germania il più grande creditore dell'Eurozona stando a quanto ci dicono i saldi Target 2, più di altri i rischi di inflazione che invece andrebbero appannaggio dei creditori) e potrebbe partire nel 2014 con un piano di quantitative easing.

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