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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2014 alle ore 18:57.
L'ultima modifica è del 18 marzo 2014 alle ore 19:26.

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Non solo Alibaba e Weibo. A Wall Street sta arrivando un'ondata di collocamenti di aziende cinesi, soprattutto di internet e tecnologia, che preferiscono l'antica ma sempre gagliarda capitale della finanza globale alla vicina Hong Kong. Con buona pace di chi prevedeva imminenti capovolgimenti di fronte, con i nuovi mercati asiatici epicentro di operazioni finanziarie che scappavano da una geriatrica piazza newyorchese. Non accade oggi. E forse neppure domani. I nomi di prestigio semmai snobbano Hong Kong per mettersi in coda all'«ufficio di collocamento» della Sec e diventare matricole al Nyse o al Nasdaq: Nyse Euronext ha stimato che entro fine anno almeno 15 o 20 nuove società cinesi avranno coronato il loro sogno di un debutto in America.

È un sogno che viene da lontano. Dealogic ha stimato che già l'anno scorso società cinesi abbiano raccolto un miliardo di dollari sulla piazza americana. Se in cifre assolute può sembrare ancora poco – ed è rimasto lontano dai 4 miliardi intascati nel 2010 - è comunque cinque volte la somma rastrellata nel 2012. Un segno di netta riscossa dopo le polemiche e gli scandali di contabilità e trasparenza che avevano frenato in passato i primi entusismi per i gruppi di Pechino. La scommessa è che i nuovi arrivati siano più maturi e abbiano carte in regola, sia finanziarie che di strategia.

L'avvento di protagonisti Alibaba e Weibo, peraltro, garantisce da solo nel 2014 nuovi record cinesi a Wall Street. Alibaba, che potrebbe presentare i documenti per l'Ipo entro aprile e sbarcare sul mercato nel terzo trimestre, potrebbe raccogliere quanto Facebook, vale a dire 16 miliardi di dollari, parte di una valutazione del colosso dell'e-commerce da oltre 140 miliardi. Weibo, il Twitter cinese, ha già depositato documenti per rastrellare oltre mezzo miliardo. Ulteriori Ipo sono in programma: JD.com, tra i leader nelle vendite online direttamente da aziende a consumatori, sta preparando un collocamento iniziale "made in Usa" da 1,5 miliardi per la seconda metà dell'anno.

Il 2013, soprattutto sul finire, ha dato credito con numerosi esempi al ritrovato appetito per i marchi cinesi. Il mercato online 58.com, il sito di viaggi Qunar, il gruppo di dati sull'auto Autohome e la lotteria online 500.com sono tutti sbarcati con successo, aprendo la strada ad altri debutti. Autohome e 500.com hanno in particolare più che raddoppiato il loro valore dal collocamento a oggi. Nel solo mese scorso, inoltre, società di internet già quotate negli Usa quali Dangdang e Youku hanno a loro volta guadagnato rapidamente terreno, rispettivamente il 49% e il 15 per cento.

Il sogno di New York è stimolato da ragioni pratiche per i gruppi cinesi: è possibile adesso avere migliori prospettive per i titoli, superiore visibilità e credibilità e maggior accesso a capitali. Gli Ipo sono di sicuro "caldi" a Wall Street: nei primi due mesi del 2014 sono già stati oltre 40, il massimo da prima della crisi. Per gli investitori che operano negli Stati Uniti l'attrazione dei marchi cinesi è altrettanto chiara, anche se non mancano i rischi legati alle tensioni nell'economia di Pechino oltre che alla memoria degli scandali. Il settore hi-tech e di Internet cinese è considerato tra i più vitali nel Paese, nonostante lo spettro di censure e controlli soffocanti: 600 milioni di utenti regolari e 500 milioni attraverso servizi mobili.

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