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Questo articolo è stato pubblicato il 24 giugno 2014 alle ore 07:21.
L'ultima modifica è del 24 giugno 2014 alle ore 13:01.

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Mentre la Fed, la Bank of England e la Banca del Giappone quando acquistano bond governativi non hanno il problema del riparto degli interessi con altri Stati e, di conseguenza, se portano il debito fino a scadenza (come stanno facendo) monetizzano lo stesso debito che a quel punto diventa a costo zero per lo Stato (gli interessi diventano una partita di giro da tra banca centrale e tesoreria di Stato). In pratica è come se cancellassero debito emettendo allo stesso tempo base monetaria netta per riattivare la domanda depressa. In questi casi l'indipendenza tra banca centrale e governi (che in Europa agisce in modo vincolante e che in Italia è stata inaugurata nel 1981 con il divorzio tra Tesoro e Banca d'Italia che da allora ha impedito alla Banca d'Italia di controllare i tassi sul debito non potendo più intervenire sul mercato primario) in Paesi come Stati Uniti, Inghilterra e Giappone è certamente più labile. Come dire, in casi di emergenza, si chiude un occhio e tra banche centrali e governi si instaura un rapporto più vicino e cooperativo.

Nell'Eurozona questo non è accaduto e non può accadere sia perché ci sono 18 Stati differenti e soprattutto perché è esplicitamente vietato dai trattati. Ma la Bce, qualcuno dirà, ha stampato moneta in altro modo, fornendo liquidità alle banche anche sul lungo periodo a tassi agevolati attraverso operazioni Ltro (Long term refinancing operation). In realtà, queste operazioni, tecnicamente non equivalgono a stampare moneta. Perché la quantità immessa dal nulla deve poi essere restituita a scadenza dalle banche alla banca centrale. Viene in sostanza stampata moneta a termine, moneta destinata ad "autodistruggersi" con la restituzione a scadenza, dopo 3 o 4 anni a seconda del tipo di Ltro. Operazioni come le Ltro annunciate nel 2011, 2012 e adesso nel nuovo pacchetto con la novità del Tltro, (targeted Ltro) ovvero un prestito agganciato in parte a quanti prestiti alle imprese le banche effettuano, per favorire l'erogazione di credito, non possono rientrare nell'alveo della "monetizzazione del debito" e della tecnica di "stampare moneta" a pieno regime utilizzata invece dalle altre banche centrali più influenti del pianeta.

E questo è anche uno dei motivi per cui l'euro resta forte nei confronti delle altre valute, perché difatti le quantità immesse dalla banca centrale sono a termine, non si tratta di immissioni nette. Del resto, la Bce è vincolata da trattati europei che non prevedono che possa operare al pari di Fed, Boj e Bank of England.

Ma esiste un altro modo di stampare moneta, al di là dei trattati? Secondo Marco Cattaneo, consulente aziendale specializzato in operazioni di private equity e autore, con Giovanni Zibordi, che opera nei mercati finanziari dal 1999, del libro "La soluzione per l'euro", un modo c'è. Attraverso stimoli fiscali. Lo Stato italiano, come qualsiasi altro Stato dell'Eurozona, potrebbe emettere certificati di credito fiscale a favore di datori di lavoro (del settore privato) e di lavoratori (del settore privato e pubblico). Certificati che poi potranno essere utilizzati per qualsiasi pagamento nei confronti della pubblica amministrazione (tasse, multe, eccetera) dopo due anni.

«Questo è necessario per dare all'economia il tempo di recuperare e di produrre la crescita del Pil e di introiti fiscali che compensa l'utilizzo del Ccf – spiega Cattaneo -. Scaduto il termine di due anni, il detentore di Ccf li utilizzerà per pagare imposte e altre obbligazioni finanziarie dovute allo Stato. Questo non sarà un problema per l'equilibrio delle finanze pubbliche, in quanto l'assegnazione di Ccf rappresenta una forte azione di stimolo alla domanda». Un esempio? «Un lavoratore dipendente con un reddito netto di 20mila euro annui riceve un'integrazione di reddito, sotto forma di Ccf; pari a quasi il 20% della sua retribuzione. L'integrazione percentuale scende al 10% circa per redditi netti di 50mila euro e al 5% per redditi netti di 100mila. In questo modo i lavoratori dipendenti e assimilabili riceverebbero Ccf per 48 miliardi, i lavoratori autonomi per 22. Quanto ai datori di lavoro riceverebbero Ccf per 83 miliardi, pari al 18% del monte retribuzioni delle aziende private italiane stimato per il 2014 in 466 miliardi di euro. Questo equivale ad abbattere di circa il 18% il costo effettivo del lavoro. In questo modo si ottiene, per via diversa, il riallineamento di competitività (quella persa nei primi 15 anni di Eurozona con la Germania dato che l'Italia ha aumentato il costo del lavoro per unità di prodotto del 18% in più rispetto alla Germania) che – ai tempi delle monete nazionali – era conseguito mediante la variazione dei cambi».

Non c'è il rischio che stampare moneta, utilizzando la parziale sovranità fiscale di cui in questo momento dispone l'Italia (finché non esiste un bilancio unico europeo ma ci sono vincoli da rispettare si può infatti parlare di parziale sovranità fiscale) si crei in futuro inflazione? «No, fino a quando la nuova moneta emessa in circolazione in modo netto va a stimolare la domanda inespressa. L'inflazione si crea quando si emette nuova moneta in un contesto in cui la domanda è già allineata al massimo potenziale produttivo di un sistema economico. In Italia e nell'Eurozona, con un tasso di disoccupazione medio superiore all'11% e ormai sui livelli di quello del dopoguerra, è evidente che domanda e offerta siano ancora lontane e quindi l'inflazione non è affatto un pericolo. Piuttosto, vista la mancanza di moneta e di domanda, lo è la deflazione».

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