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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2015 alle ore 08:33.
L'ultima modifica è del 09 gennaio 2015 alle ore 16:19.

Occorre dire che già nel giugno del 2011, per gli stessi motivi della Bce, l'European Banking Authority, l'altra autorità di vigilanza bancaria continentale, presieduta dall'italiano Andrea Erria, aveva comunicato alle banche la necessità di alzare l'asticella dal 7% di Basilea 3 al 9 per cento. Ma era stata una misura temporanea, poi rescissa nel 2013. Così come è bene precisare che le banche italiane si trovano tutte sopra quella soglia. Ma come ci spiega un banchiere, che chiede l'anonimato, «un conto è operare con un abbondante margine sopra la soglia minima, un altro conto avere un margine risicato. In questo secondo caso si tende a essere molto più prudenti».

L'impatto sarebbe su due fronti: quello delle future acquisizioni, perché la restrizione del margine sopra la soglia, mettendo le ganasce su capitali liberi, limita chiaramente la potenza di fuoco di chi vuole crescere. L'altro effetto sarebbe quello di un'inibizione dell'attività creditizia. «Le banche sono come le aziende», aggiunge il banchiere. «Fanno quello che più conviene. E l'innalzamento delle soglie favorisce l'investimento in titoli di Stato, che di fatto diventa adesso ancora più competitivo dell'impiego di credito. Sul titolo di Stato non sono infatti richiesti accantonamenti, né ci sono coefficienti di capitale. Come si dice in gergo tecnico, hanno ponderazione zero.

E poiché per riattivare il ciclo economico serve invece la ripresa del credito, questa misura potrebbe avere un impatto prociclico, alimentando cioè l'attuale ciclo di stretta creditizia». Il Sole 24 Ore ha chiesto un commento ad Andrea Resti, professore della Bocconi esperto di regolamentazione bancaria e di rischi finanziari. «Premesso che io non credo alla supply side economics applicata al credito, e che secondo me il calo degli impieghi in Italia è soprattutto un problema di domanda, da studioso noto che se si alzano i requisiti patrimoniali, magari in modo perfettamente giustificato, si riducono automaticamente gli spazi per una futura ripresa del credito», dice Resti.

C'è inoltre un altro aspetto di tutt'altra natura. Le regole di trasparenza prevedono che, quando ha notizie che possano incidere sul valore del proprio titolo, il management di una banca ha l'obbligo di comunicarle al mercato e alle autorità di vigilanza. In questo caso a Il Sole 24 Ore risulta che nessuno abbia ancora comunicato nulla. «In linea generale, ogni informazione riservata e price sensitive, cioè che ragionevolmente può muovere in modo sensibile il prezzo delle azioni o delle obbligazioni quotate emesse dalle banche, deve essere comunicata al pubblico», commenta Luca Enriques, ex commissario Consob oggi professore di Corporate Law a Oxford. Che aggiunge: «Ma in un caso come questo gli emittenti potrebbero sostenere che i procedimenti sono ancora in corso, che i requisiti di capitale non sono stati ancora fissati in modo definitivo, e che quindi la notizia non è
sufficientemente precisa per essere comunicata».

Il messaggio sui nuovi e più alti coefficienti patrimoniali minimi si va inoltre a sommare a una comunicazione fatta nel novembre scorso dall'Eba in cui l'Authority informava le banche della propria intenzione di alzare un'altra soglia, quella della cosiddetta materialità negli sconfinamenti (che in pratica è il minimo oltre il quale lo sconfinamento continuativo trasforma il credito in nonperforming ovvero in stato di default).

Nell'ambito di un processo di omogeneizzazione di regole e comportamenti, dopo aver portato a 90 per tutti il termine massimo di giorni consecutivi oltre i quali uno finanziamento deve essere classificato come nonperforming (fino all'anno scorso nel Sud Europa era di 180), l'autorità europea ha fatto sapere di star valutando criteri che uniformino il calcolo della soglia di materialità, finora diversi da Paese a Paese. Oggi in Italia questa soglia è pari al 5% del totale delle linee di credito del cliente. L'Eba sta invece valutando l'introduzione di una soglia con due componenti: un minimo relativo pari al 2 anziché il 5% delle linee di credito e un minimo assoluto, che per i clienti retail sarà di 500 euro e per corporate di 600. Nel “documento di consultazione” inviato alle banche, l'Eba chiede alle banche di esprimere la propria opinione su questi due requisiti e chiede se si ritiene preferibile che siano alternativi ovvero debbano essere entrambi valicati perché ci sia uno sforamento della soglia.

C'è da aspettarsi che le banche risponderanno che il secondo scenario sia preferibile. Ma anche solo l'abbassamento dal 5 al 2%, in Italia potrebbe avere un impatto significativo, mentre in Paesi come la Germania non provoca praticamente alcuno scossone. Il motivo è semplice: in Germania debitori e creditori sono più rigorosi, e un credito scaduto da 90 giorni si trasforma quasi automaticamente in sofferenza. In Italia, dove c'è da sempre una cultura diffusa di flessibilità interpretativa e adesso si sta vivendo un momento di fortissimo aggravamento del problema degli incassi (e lo Stato è il primo inadempiente!), è molto più normale sforare sulle scadenze. Ma nella maggior carte dei casi lo scaduto di 90 giorni viene rimborsato e la situazione torna poi normale.

In pratica i nuovi requisiti suggeriti dall'Eba non avrebbero alcun impatto nei paesi nordici, mentre penalizzerebbero l'“insubordinazione” di Paesi come l'Italia. «Qui occorre farsi una domanda: vogliamo una vigilanza europea integrata? Io la vorrei. Se è così, evidentemente si tratta di unificare prassi e regole. Qualche volta toccherà a noi farlo. E nel momento gli altri Paesi hanno soglie anche assolute di entità modesta, non è pensabile che l'Italia possa continuare ad andare per conto suo. Perché altrimenti ognuno si riserverebbe di fare lo stesso», commenta il professor Resti. «Non si tratta dunque a mio giudizio di fare resistenze o battaglie contro l'uniformità delle regole, perché dalle regole comuni alla fine gua guadagnerebbero tutti, Italia inclusa.

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