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17 luglio 2014

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Vendite extra-Ue gelate dai listini d'oro

Oro e petrolio. I responsabili principali del risultato deludente per l'export extra-Ue di gennaio e del crollo delle importazioni sono soprattutto loro, anche se l'identificazione dei "colpevoli" offre solo parziali motivi di soddisfazione.
Sul fronte delle vendite oltreconfine il calo su base annua è del 2,7% (-1,1% il dato mensile destagionalizzato), con un crollo di oltre 11 punti percentuali concentrato nei beni intermedi, quelli appunto dove l'Istat classifica i metalli preziosi.

Lo stesso istituto di statistica evidenzia l'impatto del metallo giallo, spiegando che escludendo dal calcolo i metalli di base diretti verso la Svizzera il bilancio del nostro export extra-Ue a gennaio sarebbe in pareggio.
Questione di listini, che del resto hanno pesato fortemente anche sui risultati del 2013. Su base annua, tra gennaio 2013 e gennaio 2014 l'oro ha ceduto un quarto del suo valore perdendo quasi 400 dollari l'oncia, risultato plasticamente rappresentato nella nostra performance di vendita verso la Svizzera, primo acquirente d'oro dall'Italia: a gennaio le nostre vendite verso Berna si riducono del 22,7%, peggior risultato tra i paesi extra-Ue.
Trend che del resto prosegue da oltre un anno, con il calo delle quotazioni dell'oro costato in termini di minori entrate poco meno di 2,5 miliardi di euro nel corso del 2013.

Tralasciando l'oro il quadro migliora, senza però diventare per questo esaltante.
Dal punto di vista geografico, infatti, prosegue la debolezza di Turchia e India, alle prese con difficoltà economiche interne e forti svalutazioni, mentre il Medio Oriente evidenzia un calo a doppia cifra, provocato in parte dalla riduzione di valore dei prodotti petroliferi raffinati diretti in quell'area.
Altrove, per fortuna, lo scenario è più brillante, in particolare per Stati Uniti e Cina, che insieme valgono il 10% delle nostre vendite oltreconfine: per Washington la crescita su base annua è del 7,1%, ben superiore al magro risultato dell'intero 2013 (+1,4%), per Pechino c'è un balzo di oltre 11 punti.

In termini settoriali l'indicatore positivo arriva dai beni strumentali, in crescita del 2,4%, mentre altrove i segnali restano negativi. I prodotti intermedi, affondati dalla categoria metalli di base (dove c'è anche l'oro) cedono oltre l'11% mentre i beni di consumo durevole sono in rosso di quasi quattro punti, a testimonianza della riluttanza delle famiglie nell'acquistare auto, mobili ed elettrodomestici. E del resto, guardando alle vendite al dettaglio 2013 in calo di oltre due punti, peggior dato dall'avvio delle serie storiche nel 1990, è chiaro che sia sempre la domanda interna l'ostacolo principale che impedisce l'approdo verso una fase di ripresa robusta dell'economia.
Sul fronte delle importazioni i risultati sono ancora peggiori, con un calo dell'11,9% legato in particolare alla caduta degli acquisti nel settore energetico.

Calo dei listini e minori consumi, determinati sia all'impatto della crisi che dalla presenza di temperature nettamente più alte della media, riducono gli acquisti di energia di oltre 22 punti percentuali su base annua, con un crollo di 42 punti per gli acquisti globali effettuati dall'Italia nei confronti dei paesi Opec.
Escludendo l'energia dal calcolo il bilancio migliora, anche se il calo delle importazioni manifatturiere resta ampio, pari al 4,9 per cento.

Dato non brillante soprattutto perché determinato da un picco negativo di quasi 14 punti nei beni strumentali, ennesimo segnale della grande riluttanza delle aziende ad avviare nuovi investimenti in macchinari in una fase di difficoltà e in presenza di rilevanti quote di capacità produttiva in eccesso. Il crollo degli acquisti dall'estero, che nel mese vale minori uscite per quasi due miliardi di euro, spinge verso l'alto la bilancia commerciale italiana, in rosso di appena 894 milioni a gennaio a fronte di un passivo di 2,4 miliardi nello stesso mese del 2013.

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