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17 luglio 2014

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Torna a crescere l'export extra-Ue

Una rondine non fa primavera, lo sappiamo bene. Ma scorgerne qualcuna all'orizzonte è comunque un segnale incoraggiante per l'industria italiana, che solo con la crescita delle esportazioni può sperare in una ripresa. Dopo il risveglio dei mercati europei che da inizio anno sta facendo ben sperare gli imprenditori italiani (in aprile +2% su base annua), si aggiunge in maggio quello dei mercati extra-Ue, che negli ultimi mesi avevano invece fatto registrate segnali negativi, dovuti soprattutto alle svalutazioni, alla crisi di domanda interna e alle turbolenze geopolitiche.

Il +5,7% (destagionalizzato) registrato a maggio dall'Istat rispetto ad aprile di quest'anno, è il primo dato positivo del 2014 per le vendite di prodotti made in Italy fuori dai confini europei, che si intreccia con una ripresa anche delle importazioni (4,8% su base congiunturale), che porta la bilancia commerciale italiana in attivo di 2,45 miliardi. Questa «fiammata» – dovuta soprattutto al buon andamento dei beni strumentali (+9,8%) e al recupero dei prodotti energetici (+16,2%) dopo mesi di forte arretramento – non basta tuttavia a compensare le perdite dei mesi precedenti: resta negativo perciò il dato tendenziale, con un calo dell'1,9% rispetto al maggio 2013, e anche quello del trimestre marzo-maggio (-1,4%).

«È un bel problema se l'Italia non è in grado di esportare nelle aree del mondo dove il Pil cresce – osserva Francesco Daveri, docente di economia all'Università di Parma – e per questo il dato di maggio è particolarmente importante, anche se ovviamente bisognerà vedere se si consoliderà nei prossimi mesi». Tuttavia, fa notare il professore, è importante il fatto che, a trainare il recupero, siano le esportazioni di beni strumentali (macchinari, meccanica) e beni di consumo durevoli: «Proprio quei settori in cui l'Italia ha sempre avuto un leadership internazionale e che si sono ripresi con più rapidità dalla crisi», aggiunge Daveri.

Un altro elemento interessante arriva dall'analisi dei partner commerciali. Anche a maggio continuano le performance negative di mercati in passato determinanti per i prodotti made in Italy, ovvero Turchia (-14,1% rispetto ad aprile), Russia (-13,9%) e Giappone (-17,2%). Mentre si confermano cruciali per la crescita dell'export la Cina (+9%), gli Stati Uniti (+7,7%) e le Economie dinamiche asiatiche (+12,8%). «Si ribadisce una forte differenziazione tra i mercati emergenti, che secondo me è destinata a confermarsi in futuro», commenta Paolo Guerrieri, docente di Economia politica alla Sapienza di Roma.

Questi paesi, fa notare, hanno reagito in modo diverso alla crisi innestata dalla mutata politica monetaria della Fed, cui è seguito un deflusso dei capitali che ha innestato in alcuni casi (come Russia, India, Turchia) una crisi della bilancia dei pagamenti e una svalutazione delle monete nazionali, con un conseguente problema di competitività per i nostri prodotti. Altri paesi, come la Cina, stanno invece reagendo meglio e dunque «in futuro le imprese non dovranno più considerare le economie emergenti come un unicum indifferenziato – suggerisce Guerrieri –, ma occorrerà distinguere le aree e affrontarle con politiche e strategie differenti». Al di là del dato congiunturale, aggiunge il professore, è molto positiva la conferma di un surplus commerciale crescente rispetto al periodo 2011 e 2012: «Se dovesse consolidarsi – osserva – sarebbe il primo segnale di inversione di tendenza nei rapporti tra il nostro paese e le economie emergenti. Anche l'Italia, come già da tempo la Germania, sta forse imparando a sfruttare a proprio vantaggio la crescita degli emergenti, più di quanto non sia penalizzata dalla loro concorrenza».

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