Speciale Barometro dell'economia

17 luglio 2014

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Corrono tessile e meccanica

MILANO. «Sa perchè i numeri ci premiano in Europa? Il made in Italy piace, ma da solo non basta. Le Pmi italiane riescono a offrire sul territorio europeo quel servizio – puntualità di consegne e sostituzione pezzi, backoffice e reclami, montaggi e installazioni – che i clienti pretendono e che spesso non siamo in grado di assicurare in Asia e in mercati lontani». Per Gloria Riva, marketing manager della Duka (azienda bolzanina specializzata in arredobagno, 59 milioni di euro di fatturato 2013 e 200 dipendenti) le aziende italiane sono da sempre agganciate alla "locomotiva europea" perchè investono su prodotti di qualità, ma anche perchè hanno migliorato, negli ultimi anni, la rete di servizi ai clienti senza giocare al ribasso sui prezzi.

L'Europa è da sempre il primo mercato estero per le nostre Pmi. Facilità di dialogo, di credito e di accessibilità. E dopo il crollo delle vendite nel 2009, la parziale ripresa nei due anni successivi, e l'ulteriore flessione nel 2012, laddove ripartono i mercati le aziende italiane sono già in posizione per sfruttare la boccata d'ossigeno. Secondo i dati Istat, proprio la crescita tedenziale ad aprile 2014 è da ascrivere al +5% di vendite nell'area Euro. Con alcuni picchi importanti: dalla Polonia (+14,8%), alla Repubblica Ceca (+14,5%), dal Belgio (+8,9%) alla Germania (+5,6 per cento). Premiato il "core" del made in Italy, tra tessile, arredo e meccanica. In particolare, crescono le vendite di articoli di abbigliamento, anche in pelle e in pelliccia (+10,6%), macchinari e apparecchi (+7,3 per cento). Inoltre, la crescita tendenziale dell'export è spiegata per oltre il 30% dall'aumento delle vendite di autoveicoli verso gli Stati Uniti, metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti verso la Francia e macchinari e apparecchi verso Usa e Polonia.

«La ripresa dell'area euro – ha spiegato Fabrizio Onida, docente di Economia internazionale alla Bocconi – era già partita da metà 2013 e ne beneficiano soprattutto beni di consumo, durevoli e strumentali. E a trainare il nostro export sembrano soprattutto i Paesi europei più "giovani", come Polonia e Repubblica Ceca, notoriamente meno lenti durante la crisi e più dinamici nella fase di ripresa». «Servizio e abbigliamento su misura. E prezzi superiori alla concorrenza anche del 20% – spiega Andrea Benedini, direttore export della mantovana Lubiam (abbigliamento uomo, 55 milioni di euro di fatturato e quasi 700 dipendenti tra Italia e Tunisia) – ci stanno consentendo di crescere negli Usa, ma anche in Germania, Scandinavia, Gran Bretagna, Russia e Benelux». Per Benedini, «C'è un'enorme quantità di prodotti di fascia bassa, ma i negozi che vogliono distinguersi all'estero puntano sul Made in Italy, sull'estetica e sulla qualità, anche a prezzi maggiori. E la clientela risponde bene. Esportiamo il 40% della produzione, nei prossimi quattro anni puntiamo a un ulteriore 20%».

«Sono sicuramente mercati in cui la domanda interna, soprattutto di beni di fascia medio-alta, è ripresa – ha aggiunto Antonio Gavazzeni, amministratore delegato del Gruppo Cit, che conta anche il marchio di camiceria Bagutta (32 milioni di fatturato complessivo e 120 dipendenti) –. I portafogli degli Scandinavi sono senz'altro più gonfi che in Italia, ma noi vendiamo anche in Corea, Giappone, Russia e per tutti vale l'approccio alla puntualità e alla serietà del business. E cominciamo a vedere segnali di ripresa degli ordini anche dalla Spagna». «Nel primo trimestre 2014 abbiamo avuto sull'Europa un incremento di export del 30% – spiega Gianfranco Tonti (presidente di Ifi, azienda da 50 milioni di euro di fatturato e 320 dipendenti, specializzata in meccanica alimentare) –. Cresciamo in Germania e Regno Unito, ma segnali di reazione arrivano anche dalla Spagna. Molte imprese nel nostro settore stanno avendo un rimbalzo positivo, che non si vedeva dal 2009, benchè ancora non omogeneo».

Infine, ha sottolineato Sandro Bonomi, presidente di Anima, «È export italiano anche tutta quella meccanica che comprende quella strumentale, i macchinari, la componentistica, che si trova in una fase intermedia delle catene globali del valore, si dirige sempre più spesso verso la Germania conferendo al prodotto finito tedesco una quota rilevante del suo valore aggiunto».

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