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Questo articolo è stato pubblicato il 14 luglio 2011 alle ore 15:59.

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I Comuni, oggi, svolgono sei «funzioni fondamentali», che riguardano l'amministrazione generale (dall'anagrafe all'ufficio tributi), la Polizia locale, l'istruzione (per esempio gli asili nido e le mense), la viabilità, la gestione del territorio e i servizi sociali. Entro fine anno, secondo il maxiemendamento del Governo in cui sono confluite le modifiche concordate in Commissione, i Comuni con meno di 5mila abitanti dovranno gestirne in forma associata almeno due, altre due andranno messe in comune l'anno prossimo e le ultime due entro il 2013.

Un ridisegno complessivo dell'amministrazione locale italiana, che chiama a raccolta i 5.700 piccoli Comuni del Paese (sono il 70% del totale) e li coinvolge in un processo di razionalizzazione che sulla carta è grandioso: basta con gli uffici fotocopia, che a pochi chilometri l'uno dall'altro fanno la stessa cosa moltiplicando i costi, e via libera alle gestioni associate per legge.

È una cosa seria? La novità ha qualche chance concreta di cambiare davvero il volto delle amministrazioni locali come prova a fare il Kallicrates greco, che al posto delle vecchie 57 province mette in campo 13 macroregioni e ha accorpa i 1.034 Comuni ellenici in 325 nuovi municipi?
Calma, gli obiettivi sono per ora meno ambizioni, e soprattutto la strada per raggiungerli è meno chiara. La regola, prima di tutto, non è un inedito ma, anche se quasi nessuno se n'era accorto davvero, era già prevista dalla manovra «salva-deficit» del 2010. Già l'anno scorso si era scritto che i Comuni con meno di 5mila abitanti avrebbero dovuto mettere insieme le proprie forze per raggiungere almeno questa soglia di popolazione, e il tutto era affidato a un Dpcm attuativo che finora non ha visto la luce. Il decreto attuativo avrebbe dovuto arrivare in queste settimane in Conferenza unificata, cioè il luogo istituzionale di "concertazione" fra Governo ed enti locali, ma non ha mai superato la porta della Conferenza perché nel frattempo il cantiere della nuova manovra ha fatto saltare tutti i tavoli. Il maxiemendamento, allora, non fa altro che copiare parola per parola il testo di quel decreto attuativo mai approvato, e già bocciato preventivamente dai Comuni, e riproporlo per legge.

Dettagli tecnici a parte, è la confusione normativa a disegnare un grosso punto interrogativo sugli effetti concreti del provvedimento. Curiosamente, la norma contiene già al proprio interno lo strumento per eluderne lo scopo di base: le nuove aggregazioni, spiega infatti il testo, dovranno raggiungere una soglia di abitanti pari almeno a 5mila abitanti oppure al quadruplo dei residenti nel Comune più piccolo coinvolto nell'alleanza. In pratica, basterà coinvolgere nelle associazioni un micro-Comune (in Italia ce ne sono 900 che contano meno di 500 abianti) per fermarsi decisamente sotto quella che avrebbe dovuto essere la dimensione minima della nuova aggregazione.

Non solo. La regola impone di associare due funzioni all'anno, ma non spiega su quali intervenire prima e quali lasciare a un secondo momento. In pratica, si potrebbe creare sul territorio una giungla di intrecci in cui il Comune A associa con il Comune B due funzioni, ma altri due Comuni vicini ne associano altre, senza dimenticare le alleanze incrociate fra gli enti che associano con il Comune B un'attività e con il Comune C un'altra. Chi segue da vicino l'evoluzione normativa degli enti pubblici italiani, sa bene che dal rischio alla certezza del caos il passo è brevissimo.

Rimane poi il punto fondamentale per trasformare queste associazioni in un risparmio vero. Che cosa accade al personale? La regola, per il momento, mostra sul punto una sovrana indifferenza, ma è chiaro che associare le funzioni fra più Comuni rischia di servire a poco se il personale e le strutture non vengono coinvolte in qualche processo di razionalizzazione.

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