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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2010 alle ore 15:27.
Le previsioni è meglio non farle: si sbaglia quasi sempre. E poi, per riparare, si devono improvvisare equilibrismi imbarazzanti. Un po' come è successo con Mourinho dove, ormai, tutti si dicono suoi estimatori. Perfino Arrigo Sacchi, che con il gioco scaltro del portoghese c'entra come i cavoli a merenda. Ma pazienza.
Così anche su questo Giro d'Italia bisogna fare ammenda. Noi per primi che, proprio nella presentazione, avevamo detto sarebbe stato moscio, senza motivi di richiamo, con gli italiani costretti a un ruolo di secondo ordine. Invece.
E invece, dopo una prima parte singhiozzante, dominata effettivamente dagli stranieri, il Giro si è messo a girare con una serie di colpi di scena davvero imprevedibili. Il suicidio collettivo dei big, nella discussa tappa dell'Aquila, ha dato il via alla riscossa dei nostri campioni. Prima Pozzato con un antipasto. Poi la coppia che non scoppia, Basso&Nibali, che in due giorni, tra Monte Grappa e Zoncolan, ha realizzato una doppietta memorabile per motivi diversi: l'exploit di Nibali, perchè Vincenzino è il nuovo che finalmente avanza, anzi pedala. Quello di Ivan Basso, con la devastante progressione sullo Zoncolan, perchè lo riporta in paradiso dopo due anni di deprimente purgatorio.
L'ultima sua vittoria, al Giro, risale infatti all'Aprica quattro anni fa. Poi il buio. Due anni di squalifica, due anni di lenta risalita. Un'espiazione, chiamiamola così, a basso profilo. Senza proclami e senza lamentele. Col tempo che passa inesorabile e getta dubbi e tanti punti di domanda. Infine, nel momento clou, dove l'abbraccio del vecchio popolo del ciclismo è ancora vibrante, ecco il capolavoro del vecchio Ivan. Solo Evans, il campione del mondo, riesce a tenergli testa su quelle rampe micidiali. Ma poi anche lui deve cedere, sgretolato dalla progressione del capitano della Liquigas. Tanto di cappello, Ivan, e ben tornato nell'Eden dei ciclisti.
E adesso? Adesso il Giro si riapre. In questo lunedì di riposo, vigilia di nuove fatiche ad altissima quota, la classifica non è più uno scarabocchio senza senso. La maglia rosa Arrojo e l'australiano Porte contano su un gruzzolo di circa tre minuti e mezzo su Basso, quattro e mezzo su Sastre ed Evans, circa sei su Vinokourov, Nibali e Scarponi.
In altre situazioni, si potrebbe tirare giù la saracinesca. Ma non in questo Giro. Un Giro che ha ancora salite come il Gavia e il Mortirolo, un Giro che presenta delle variabili inedite rispetto ai precedenti. E non solo per il percorso più spettacolare e impegnativo del 2009. Ma anche per un'impressione che, tocchiamo ferro, si sta dimostrando non peregrina. E cioè che, per tanti motivi, non ultimi i controlli sempre più serrati, il gruppo pedali con una benzina non maggiorata. Che insomma i superman siano tornati uomini in carne e ossa con limiti, difetti e stanchezze. Con certe facce tirate che, finalmente, denotano la fatica vera, la cotta cattiva che ti taglia le gambe e ti secca i polmoni.
In un contesto così, ogni giorno è un altro giorno. Tutto può succedere. Fenomeni si può essere in una tappa: in quella dopo, come è successo domenica a Nibali, si deve rifiatare. Risparmiarsi. A volte prendersi anche delle legnate. Insomma, i giochi sono ancora aperti. Arrojo non è un abusivo, ma insomma non è neppure Merckx. Senza la fuga bidone dell'Aquila, la maglia rosa se la sognava. Quindi non disperiamo. E soprattutto godiamoci quello che di buono ci passa questo Giro. La lunga notte del ciclismo non è finita, ma forse l'alba è un po' più vicina.