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L'oro nero nel futuro della Costa d'Oro

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2010 alle ore 14:25.

Stabilità, alternanza, rispetto dei ruoli tra le istituzioni dello stato, sviluppo lento ma regolare dell'economia e della qualità della vita. Il Ghana è un candidato naturale ad affermarsi come elemento di equilibrio nella complessa attualità dell'Africa Occidentale. Forse è vero che nei confronti di Accra si tende ad un eccesso di indulgenza, e questo soprattutto a causa di ciò che accade nei paesi vicini, ed è vero che la disoccupazione, la povertà e le disparità tra nord e sud sono nodi stretti da affrontare con urgenza. D'altra parte chiudere le presidenziali 2009 con un testa a testa risolto per una manciata di voti (50,23% contro 49,77%), e assistere a un civilissimo passaggio di consegne tra partito al potere e opposizione, non è proprio uno spettacolo frequente a queste latitudini.

Il sigillo di Barack
Il sigillo su questa realtà poco conosciuta del continente africano l'ha messo il presidente degli Stati uniti Barack Obama, quando ha scelto il Golfo di Guinea come prima destinazione sub-sahariana della sua presidenza. Un chiaro riconoscimento al paese che è stato la culla del panafricanismo negli anni di Kwame Nkrumah, e che, nonostante le sue dimensioni medio – piccole, non ha perso l'abitudine a pensare in grande. Per molti anni, l'ex Costa d'Oro, conosciuta soprattutto per il minerale giallo e per i grandi forti degli schiavi, ha sfruttato il meglio l'organizzazione amministrativa britannica, offrendosi spesso come valvola di sfogo alle crisi dei vicini.

Nel paese di Kofi Annan
Grazie anche ad alcune figure di riferimento a livello internazionale – basterà citare l'ex segretario generale dell'Onu Kofi Annan – Accra è stata una piattaforma logistica per l'intervento internazionale nelle crisi regionali. Negli anni più duri della guerra civile ivoriana, un paese con cui condivide gli 800 km del confine occidentale, ha messo a disposizione dell'Onu i campi di accoglienza che hanno permesso agli ivoriani in fuga di non disperdersi lontano da casa.

Il petrolio scalda gli animi
Adesso è però il "paziente" Ghana ad alzare la voce, per affrontare una crisi esplosa proprio con i vicini ivoriani. La miccia l'ha accesa la società irlandese Tullow Oil, che ha stimato in 600milioni di barili il potenziale del giacimento petrolifero off-shore di Tweneboa. Una buona notizia per l'economia di Accra, che ha però riaperto dalle parti di Abidjan un contenzioso che sembrava dimenticato. Tweneboa è infatti un campo sottomarino lungo il confine tra i due paesi e, secondo Abidjan, i vicini di casa sarebbero andati anche oltre le zone di esplorazione definite dagli accordi bilaterali. Immediata la reazione di Accra: il ministro del petrolio Collins Dauda ha accusato gli ivoriani di voler allungare le mani sul tesoro sommerso e così la stampa dei due paesi ha ripreso la vicenda arrivando a evocare il rischio di una "guerra del petrolio".

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Il contenzioso all'Onu
Di certo c'è che per adesso i presidenti Gbabo e Atta-Mills si stanno muovendo con prudenza, e la chiara intenzione di evitare che la polemica diventi una vera crisi. Nel futuro ci sono nuove concessioni per l'esplorazione dei fondali, magari partendo proprio dalla zona contesa. Intanto si sono mossi gli avvocati dello stato: il 29 aprile Accra ha presentato alla commissione Onu per la delimitazioni marittime la richiesta di estendere a 200 miglia nautiche i diritti esclusivi sulla piattaforma continentale e, dieci giorni più tardi, la Costa d'Avorio ha fatto lo stesso.

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