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Questo articolo è stato pubblicato il 21 aprile 2011 alle ore 20:04.
"Certo che l'idea di ripetere o addirittura migliorare Pechino2008 è una bella responsabilità!. Ma onestamente, dimmi: chi non vorrebbe averne, di problemi simili?". La confessione di Francesco Damiani e schietta e sincera come il suo inconfondibile accento romagnolo. A poco più di un anno dai Giochi di Londra 2012, il pugilato italiano – come sottolinea il commissario tecnico, argento olimpico a Los Angeles 1984, poi campione del mondo tra i massimi da professionista – guarda al futuro, forte di un passato (recente e remoto) che ha riempito bacheche e medaglieri di metalli pregiati.
Da Pechino, tanto per citare l'ultima edizione olimpica, tornammo con l'oro di Roberto Cammarelle nei supermassimi, l'argento di Clemente Russo tra i massimi, il bronzo di Picardi tra i mosca. E i mondiali precedenti (Chicago 2007) e successivi (Milano 2009) avevano confermato la bontà di una scuola che ha garantito all'Italia 42 podi olimpici. E che ora è attesa a una nuova prova della verità alla prossima rassegna iridata, in autunno a Baku, in Azerbaijan. E prima agli Europei di Istanbul, a giugno. Sempre con Damiani all'angolo.
Rivali storiche - "Con chi andremo a giocarci le medaglie olimpiche? I soliti: russi, cubani, americani, tutti i pugili dei Paesi dell'Est nati dal blocco ex-sovietico, i cinesi usciti fuori proprio dai Giochi di Pechino", sottolinea Damiani. Che però mette in luce una differenza significativa, rispetto al passato:" Tradizionalmente, nella storia olimpica, ci siamo sempre trovati ad affrontare avversari che, seppur conservando lo status dilettantistico, erano e sono dei veri professionisti della boxe olimpica, mentre i nostri pugili di solito, dopo l'esperienza olimpica, sceglievano il passaggio naturale al professionismo. Stavolta così non è , perché Cammarelle, Russo, Valentino, Picardi, se si qualificheranno, a Londra avranno già una notevole esperienza olimpica. Insomma, siamo diventati un po' come i cubani, con grandi campioni che hanno conservato lo status dilettantistico ma che, in quanto a talento, farebbero la loro figura anche tra i professionisti", chiosa soddisfatto il cittì.
Conti e guantoni – Risultato non casuale, quello di aver mantenuto per tutti i 'big' l'eleggibilità olimpica, ma frutto di una precisa strategia federale, che ha avuto nei Mondiali di Milano2009 un ovvio catalizzatore, e visto anche l'inserimento dei pugili nei diversi gruppi sportivi militari. Scelta che, naturalmente, ha un costo, soprattutto se finalizzata all'obiettivo olimpico: "il contributo del Coni è di 1 milione e 900mila euro annui – specifica Franco Falcinelli, presidente della Federboxe e della commissione tecnica mondiale della federazione internazionale- per l'intera attività nazionale e internazionale. Per gli atleti elite posso dire che complessivamente, nel quadriennio, investiamo in tutto circa 150mila euro annui per ognuno di loro, considerando anche i premi che diamo in caso di vittorie mondiali".
Investimento che ha il suo ritorno, in termini di risultati, ma anche di popolarità: "I tesserati federali sono aumentati del 30% nell'ultimo quadriennio, anche per la diffusione delle discipline amatoriali denominate nel loro insieme Gym Boxe – spiega Falcinelli – ma quel che più conta è che cambia la natura, l'estrazione sociale dei nostri iscritti: non più e non solo quelli legati allo stereotipo di chi attraverso la boxe trova il riscatto sociale da una situazione difficile; ma ad aumentare è il numero degli studenti universitari. Praticanti che un giorno saranno – e già sono – l'elite culturale-economica del Paese, e che saranno cresciuti nelle nostre palestre, anche attraverso la boxe", spiega il presidente
L'esperimento World Series – Popolarità, diffusione e tesseramenti che passano anche attraverso una sempre maggiore visibilità della disciplina. In questo senso è tempo di bilanci per le World Series of Boxing, quella sorta di Champions League del pugilato che quest'anno ha preso il via con un regolamento misto tra professionismo e dilettantismo, con match di 5 riprese da 3 minuti ciascuna, tra pugili di status dilettantistico, ma senza maglietta e casco protettivo. I vincitori di ogni categoria, inoltre, otterranno direttamente la qualificazione olimpica per Londra Per l'Italia hanno partecipano i Dolce&Gabbana Milano Thunder, con atleti come Russo (in finale tra i pesi massimi), Valentino, Picardi e lo stesso Damiani come direttore tecnico.
"E' stato un esperimento sicuramente positivo – sottolinea Falcinelli – e bisogna ringraziare Milano per il grande sforzo organizzativo fatto, anche nell'aumentare l'esperienza e la preparazione dei nostri atleti. Ma è chiaro che un'attività così intensa a livello internazionale costa, e i Thunder ci hanno già fatto sapere che, senza un contributo federale o istituzionale, non potranno affrontare un'altra annata". In soldoni, di che cifra si parla? "Serve circa un milione e 200mila euro. Ci siamo già attivati per arrivare a questa cifra – spiega il presidente federale - ma come Federazione non possiamo far altro che confermare i circa 650mila euro in servizi e assistenza tecnica che avremmo comunque garantito ai pugili di interesse olimpico"
Senza casco? - Intanto, già si pensa a come potrà cambiare la boxe dopo Londra 2012. Quelle di Rio de Janeiro 2016 potrebbero essere le prime Olimpiadi dell'era moderna senza caschetto protettivo. A ipotizzarlo è stato lo stesso Wu Ching-Kuo, presidente dell'International amateur boxing association (Aiba): "I materiali dei guantoni si è sviluppato moltissimo. Il materiale di oggi assorbe gran parte del colpo. I pugili sono felici, senza i caschi si sentono più a loro agio". Falcinelli conferma, ma frena: "Stiamo elaborando un rapporto che una commissione medica presenterà poi al Cio entro il 2013 sulla base dell'esperienza maturata nelle World Series, che già da quest'anno prevedevano proprio l'abolizione dei caschi.
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