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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2011 alle ore 06:36.

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La scelta europea non danneggia il big petrolifero Corbis)La scelta europea non danneggia il big petrolifero Corbis)

La super-rete può (e deve) aspettare. Ce lo dirà la Ue, ma non prima di un paio di anni, se saranno davvero maturate le condizioni per azzardare la costruzione di quel che sembrerebbe un gigante buono e utile a tutti.

Utile agli operatori dell'energia (non solo quelli elettrici, che da noi possono già contare sul "trasportatore" indipendente Terna) pronti a battersi in un mercato italiano che sarebbe davvero neutrale anche nel gas, "liberando" quella parte intermedia della filiera, il trasporto appunto, che può senz'altro agevolare la concorrenza nella parte più a monte: l'approvvigionamento di metano dalle fonti estere.

Utile allo Stato, visto che una super-Terna (o super-super-Snam, dipende dall'alchimia delle strutture societarie e di comando che nel caso si congegneranno) sarebbe comunque una grande società pubblica, quotata, in ogni caso lucrosa per le casse del Tesoro.

Domanda cruciale: utile anche per l'Eni, che peraltro è anch'esso controllato dallo Stato? No e poi no, diceva fino a qualche mese fa il capo del cane a sei zampe, Paolo Scaroni. Una separazione secca, imposta da regole esterne che dovessero segnare rigidamente la tempistica e gli esiti dell'operazione, avrebbe fortemente indebolito – ripeteva Scaroni - sia la caratura societaria che il peso negoziale dell'Eni sui mercati internazionali delle materie prime. E persino (o forse soprattutto) nel gioco delle alleanze con i colossi del settore, la russa Gazprom in prima fila, per costruire insieme i nuovi gasdotti internazionali verso l'Europa.

Ma poi le cose sono cambiate, non poco. Il Governo doveva, e deve, recepire le direttive Ue del cosiddetto "terzo pacchetto energia" che impongono comunque un efficace unbundling (separazione all'insegna della neutralità) delle reti, almeno quelle energetiche. E il nostro Governo, sebbene con il consueto ritardo italiano, sta procedendo. Ha varato una bozza ormai definitiva di decreto di recepimento di queste direttive, ora nel mezzo degli esami parlamentari. Un decreto conforme ai voleri della Ue, ma adottando la soluzione più prudente tra quelle disponibili.

L'Eni – dispone il decreto – non dovrà per ora separarsi obbligatoriamente dalla proprietà di Snam Rete Gas, ma potrà farne una società davvero separata dalla holding. Nelle funzioni, nella operatività, che nella catena di controllo. Nessun legame con le altre società del gruppo (approvvigionamento, vendita, installazioni). È il modello Ito, independent transmission operator.

Alla Ue va bene. E anche a Scaroni anche. Che a quel punto ha voluto puntualizzare: il no all'obbligo di perdere la proprietà di Snam era frutto di considerazioni molto pratiche e per nulla ideologiche. Perché ogni obbligo secco segna un percorso comunque in perdita: nelle condizioni economiche dell'eventuale cessione, e quindi nella inevitabile svalutazione della caratura industriale e politico-negoziale del nostro pregiato cane a sei zampe.

Ed ecco il colpo di scena: acquisito il risultato Paolo Scaroni ha sfoderato, ma solo a quel punto, il suo possibile e personale (visto che il "pallino" è in mano sua) cambio di umore. Se un domani dovessero esserci buone opportunità e adatte condizioni di mercato Eni potrebbe decidere, ma in rigorosa autonomia, di vendere Snam Rete Gas.
Sempre che ad affrettare la scelta non sia nel frattempo un altro fattore vagamente accettabile: la reciprocità di scenario, ovvero degli obblighi, con gli altri Paesi europei. Tra due o tre anni la Ue dovrà fare il punto. E forse produrrà nuove direttive. Magari sulla progressiva creazione di una rete indipendente a modello consortile tra tutti i paesi Ue. Per ora Scaroni ha avuto riconosciute le sue ragioni.

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