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Questo articolo è stato pubblicato il 22 novembre 2012 alle ore 14:31.

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Matteo Renzi e Rosy Bindi in una foto del maggio 2011 (Ansa)Matteo Renzi e Rosy Bindi in una foto del maggio 2011 (Ansa)

di Sara Bianchi

Lei lo ha definito figlio del ventennio berlusconiano e lui dice che lei no, non è di sinistra, Obama lo è, ma non lei. Il botta e risposta al veleno (a distanza) tra Rosy Bindi e Matteo Renzi è una costante di questa campagna per le primarie. Un'antipatia naturale forse, una storia politica vissuta sullo stesso terreno, quello della Toscana dove (si sa) i panorami sono dolci ma i caratteri aspri.

Per il sindaco di Firenze candidato alle primarie «essere di sinistra» significa «cercare di fare come fa Obama e non come Rosy Bindi: fare come uno che ha osato, rischiato, si è messo in gioco contro il suo partito». Così Renzi prova a rendere la pariglia alla presidente del partito che ventiquattro ore prima lo aveva accusato di «non avere molti altri argomenti oltre la rottamazione su cui chiedere consensi». «Mandare a casa una classe dirigente che ha combattuto per vent'anni contro Berlusconi - secondo Bindi - significa dare ragione al Cavaliere».

La storia dei bisticci tra i due esponenti democratici parte da lontano.
Intervistata da Lucia Annunziata la presidente Pd non aveva certo mancato in chiarezza: «Non mi pongo il problema se fidarmi o meno di Renzi, perché io lavorerò in queste primarie perché Renzi venga sconfitto», aveva detto. Ma prima ancora lo aveva già collocato, implicitamente e virtualmente, fuori dal partito. «Renzi - aveva detto la Bindi - non rappresenta una minoranza, ma dà voce a quella maggioranza silenziosa del Paese che Berlusconi ha avuto la stragrande capacità di forgiare».

Il sindaco di Firenze ha sempre fatto spallucce ma senza rinunciare a dire la sua. Pochi giorni fa, quando Bindi era attesa nella sua Rignano sull'Arno, premettendo di non voler fare polemica, «è sempre così nervosa», ha detto. E poi: «Abbracciatemela e salutatemela». Ma non le ha risparmiato attacchi. Come quando, parlando a Canale 5 intervistato da Maurizio Belpietro, ha provato a stroncarne la candidatura per le primarie (alla quale poi la presidente Pd ha rinunciato). «Sta in Parlamento da prima della caduta del Muro di Berlino, dal giugno 1989», aveva detto il sindaco di Firenze. E ancora: «Ha fatto sei mandati, il ministro due volte, ha già corso alle primarie perdendo contro Veltroni, io vorrei che ci fosse un candidato in grado di vincere le elezioni, non di perdere alle primarie».

Rosy Bindi e Matteo Renzi vengono dallo stesso partito (la Democrazia Cristiana prima, il Ppi poi, quindi la Margherita) e dallo stesso territorio, la Toscana. Di Rignano sull'Arno (Firenze) lui, di Sinalunga (Siena) lei. Nella loro disputa i toni sono sempre accesi, quelli barricaderi ma legati alla politica tradizionale di Bindi e quelli aggressivi del nuovismo di Renzi. Il sindaco di Firenze ha assicurato più volte di non avere «nessun conto in sospeso» con la presidente del partito, Bindi gli riconosce «delle indubbie capacità», ma parla di lui anche come «provocatore» (in occasione della manifestazione di piazza San Giovanni a Roma). Le loro leadership, almeno nello stesso territorio, sono difficilmente compatibili, anche perché quello che nessuno dei due gradisce è che qualcun altro gli faccia ombra.

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