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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2012 alle ore 13:17.
C'erano una volta la destra e la sinistra, le classi sociali come espressioni di voto, il proletariato e la borghesia che si davano battaglia alle urne. Oggi è ancora così? E soprattutto, può essere così anche all'interno di un solo partito, cioè il Pd? La risposta è: forse.
Un recentissimo studio apre il campo a un'ipotesi molto curiosa: il voto alle primarie del centrosinistra sarebbe una questione di reddito. Il dato emerge da un'indagine pubblicata dal sito LaVoce.info dove il bocconiano Tito Boeri analizza il risultato del primo turno fra i cinque candidati, quello che ha portato all'attuale ballottaggio fra Bersani e Renzi.
In un grafico viene messa in relazione la differenza di voti ottenuti dal segretario del Pd e dal sindaco di Firenze provincia per provincia, e il reddito pro-capite delle diverse province italiane. E il risultato è abbastanza lampante: nelle province più povere, cioè quelle con un reddito pro-capite più basso, la vittoria di Bersani è stata schiacciante. In quelle più ricche, invece, l'ha spuntata Renzi.
L'andamento del grafico lo spiega lo stesso Boeri: «L'asse verticale mostra la differenza tra la percentuale di voti ottenuti da Bersani e quella di Renzi. Ad esempio se Bersani ha ottenuto il 46 per cento e Renzi il 36 per cento in una provincia, il "punto" assume valore 10, se Bersani ha ottenuto il 36 per cento e Renzi il 46 per cento, assume valore -10. L'asse orizzontale mostra il pil pro-capite medio negli anni 2000-2008».
«Bersani – spiega ancora Boeri - sembra avere preso più voti di Renzi soprattutto nelle province più povere, forse perché si è presentato come un candidato che non taglierà né spesa pubblica né tasse, in linea con quanto tipicamente dichiarato nei sondaggi dalle persone con reddito più basso. La relazione è forte: la linea rossa, che interpola i vari punti, ci dice che passando da una provincia con 25.000 euro di reddito pro capite a una con 20.000 euro, il vantaggio di Bersani nei confronti di Renzi sale da poco più del 2 per cento a quasi 12 punti percentuali».
Se i numeri non mentono e hanno un senso anche in politica, pare che il segretario del Pd arrivi con più decisione al cuore di quella fetta di Paese economicamente messa peggio. Renzi, invece, fa più presa su chi dal punto di vista finanziario sta meglio. Sfaccetature di questo PD, insomma.
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