Storia dell'articolo
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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 16:54.
Ricordo le mie prime lezioni di letteratura italiana, in una IV magistrale, nell'anno scolastico 1965-66. La lezione era dedicata a «Signorina Felicita». L'aula: una cattedra alzata di quasi un metro sui banchi di legno dal tavolo nero; alle pareti carte geografiche: la Penisola, L'Europa, il Planisfero. Avevo portato da casa il mio gelosino e il volume su Monet e Renoir della collana Maestri del colore. Mentre recitavo quei versi, una studentessa adagio girava le immagini dal grande album e il gelosino suonava L'après midi d'un faune. Era quanto si poteva fare.
Dieci anni dopo, in un serale dai salesiani del San Zeno di Verona, godevo di un'aula speciale audiovisi: televisione, videoproiettore, videoregistratore, giradischi, mangianastri. Eccezioni per un arredo scolastico "normale". Da lì, nella primavera del 1997, siamo partiti. Insieme alle poche scuole chiamate dal ministro Luigi Berlinguer a partecipare al progetto «Prove tecniche di autonomia».
Nel progetto una nuova disciplina, Linguaggi non verbali e multimediali, apriva lo spazio delle compresenze, composte fra i docenti di cattedra, altri docenti e gli esperti di cinema, televisione, teatro, musica, danza, arte, fotografia, prossemica e cinesica per insegnare a imparare attraverso la molteplicità dei linguaggi della comunicazione di ieri e di oggi; cui si aggiunse subito il linguaggio digitale come alfabeto riassuntivo, ma non esaustivo, di tutti gli altri linguaggi: perché il linguaggio digitale della virtualità, pur con il fascino della second life, non ha l'odore, il sapore, il rumore del teatro, della danza, della musica; non apre alla diegesi del cinema e non vi annusi il sudore dei corpi in movimento.
Abbiamo ricomposto i quadri orari e i curricola delle discipline; le aule sono divenute laboratori didattici. I docenti iniziarono a insegnare ad apprendere tutte le discipline con l'ausilio di strumenti multimediali, ricomponendo così le parti separate, fino ad allora, fra la comunicazione d'aula e la comunicazione fuori d'aula. I più sensibili e i più attenti al linguaggio quotidiano dei loro studenti scoprirono che non era più possibile ignorarlo, anzi punirlo, come improprio e non adatto alla vita quotidiana della scuola.
Su queste premesse "storiche", nella primavera del 2007, nasce al Miur il progetto «Didattica della comunicazione didattica» dedicato a 85 scuole di ogni ordine e grado, selezionate fra quelle che da qualche tempo sperimentavano forme innovative di comunicazione didattica. Mi viene affidato il coordinamento nazionale del progetto e realizziamo cinque seminari nazionali presso il liceo classico Scipione Maffei di Verona (di cui sono preside); quindi un sesto seminario a Erice per confrontarci con la rete «Alfamediale» di Tullio Sirchia, e un settimo seminario nazionale a Bussolengo nell'autunno del 2008 che conclude questa prima fase: 300 ore di esperienze didattiche multimediali (si vedano i servizi alle pagine 12 e 13, nrd). Il tutto sta per essere messo a disposizione nel portale della rete. Da quell'autunno a oggi il progetto si è progressivamente trasformato in una rete che conta oggi più di mille scuole, articolate in una rete regionale che, a sua volta, si articola in 107 reti provinciali: ci siamo confrontati sui risultati raggiunti, questo novembre, in un ottavo seminario nazionale.