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Questo articolo è stato pubblicato il 06 maggio 2011 alle ore 19:29.

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La privacy è un tema caldo in Internet. Se ne parla sempre, l'argomento spunta ogni volta che si sfiora il discorso relativo ai dati affidati ai siti e prende prepotentemente la scena quando si approfondisce il tema dei social network. Il rischio è che le informazioni pubblicate possano in qualche modo essere usate contro di noi, senza preavviso o addirittura a nostra insaputa.

Basta un po' di buon senso e non eccedere nella condivisione, perché "L'esplosione di contenuti e servizi gratuiti online, come i siti di social networking, i motori di ricerca e i blog, ha portato alla inevitabile mercificazione delle informazioni private", spiega Bernhard Hoetzl, Chief marketing officer di 123people. "A tutti piace usufruire di servizi gratuiti, ma la maggior parte degli utenti sta iniziando a capirne il vero costo e le sue conseguenze", ovvero che a fronte di un accesso gratuito e completo ai servizi, il "prezzo" da pagare consiste nalla tracciabilità delle informazioni e nel rimpinguare il database di dati raccolti a fini di profilazione per la vendita di spazi pubblicitari, se non per altri scopi più complessi. "Il nostro obiettivo è di sensibilizzare ed educare, aumentando la responsabilità dell'utente e permettendo alle persone di gestire la propria digital footprint in un mondo sempre più trasparente". Sì, perché il concetto di base è che bisogna imparare ad autodifendersi, a delimitare il perimetro entro il quale si è disposti a pubblicare in modo indiscriminato le informazioni personali; un approccio filosofico per evitare di sorprese. Un argomento caldo, così sulla breccia che il sito 123people, capace di aggregare e organizzare con intelligenza i contenuti provenienti da vari fonti on-line e tutte riferibili a un soggetto (per esempio, un utente), ha promosso un sondaggio tra gli utenti di 13 paesi per capire il livello di sensibilità e approfondimento sui temi della privacy. I risultati, a volte, lasciano sopresi. Lo studio si basa su oltre 5.700 interviste on-line condotte tra il 10 e il 26 gennaio scorso. Alla domanda se le informazioni personali sono ritenute a rischio su Internet, il 90% ha risposto affermativamente (il 71% con un deciso "sì"), mentre solo il 5% si è detto convinto che non esista rischio alcuno. Interessante notare come il risultato sia sostanzialmente omogeneo tra uomini e donne e tra persone che navigano più o meno frequentemente sul Web.

In Italia il dato più alto di fiducia: siamo quelli meno impauriti dai rischi provenienti da Internet. Mentre i cittadini statunitensi sono i più preoccupati. Comunque, quasi l'80 per cento degli intervistati provvede ad attivare la modalità "privata" di gestione dle profilo sui social network, così che solo gli amici e le persone selezionate possano accedere alle informazioni. L'11% non lo attiva e una identita percentuale lo fa solo saltuariamente. Anche in questo caso, gli italiani sono quelli meno attivi nel tutelare la privacy, dato che solo il 65% del campione opera in privato, solo gli olandesi sono più confidenti; francesi, inglesi, americani e spagnoli sono quelli più attenti alla loro privacy. Il campione si frammenta quando si entra nell'ambito delle riserve a pubblicare dati personali on-line. In generale, il 66 per cento di coloro che hanno partecipato al sondaggio ha remore nello spiattellare tutto on-line; il 16% si fa raramente di questi problemi e il 18% mai. Sorpresa: gli italiani sono i più pudici e, almeno in questa categoria, si rivelano come il popolo meno portato a sviscerare gli affari privati su Internet.

Mentre gli spagnoli, seguiti dagli statunitensi, si aprono con più facilità. I rischi che si corrono nel mettere tutto in piazza i dati personali non sono solo di carattere privato. Tant'è che l'11 per cento del campione ammette di aver perso il posto di lavoro, o di non averlo conquistato, in virtù di ciò che hanno scritto su social network, blog e profili personali. L'89%, per fortuna, si è detto (per ora) indenne da questo rischio. In Italia, così come in Germania e Svezia, il 7% degli intervistati ha confermato che la sua attività on-line è stata causa di un mancato lavoro; è il minimo registrato, perché la Francia con il 19% ha totalizzato i casi più numerosi di questo fenomeno che non va affatto sottovalutato. Prima di pubblicare qualsiasi cosa si ragioni sul fatto che in Internet non va perso nulla, o quasi. La Grande Rete è una sorta di maxi memoria che ci segue nel tempo, che tiene traccia di ciò che abbiamo condiviso nel passato così come di quello che quotidianamente scriviamo. Anche per questo il 56% degli intervistati è ben conscio del fatto che siamo noi i principali responsabili della tutela della privacy sul Web; solo il 46 per cento del campione ritiene che la responsabilità invece ricada su enti esterni privati (motori di ricerca, piattaforme di blog, community e così via), mentre il 30% vorrebbe un intervento dei governi. In Italia, per esempio, il 35 per cento si prodiga per tutelarsi; il 41% si aspetta che siano terze parti a prendersi la briga di tutelare gli utenti on-line. Un quadro spesso disarmante, perché denota come alcuni strumenti e servizi siano impiegati come giochi o passatempi, lasciando in secondo piano risvolti più concreti che invece dovrebbero essere al centro di un dibattito e di un'attenzione speciali. Difficile stabilire se si tratti di sottovalutare il potenziale esplosivo del pubblicare on-line qualsiasi cosa ci salti in mente, oppure se manca la percezione di come queste informazioni possano poi essere amministrate con metodi e scopi differenti da quelli di chi ha pubblicato. Comunque sia, diventa indispensabile ripartire da nuovi presupposti: uno su tutti, siamo noi i responsabili unici della tutela della nostra privacy. E dobbiamo tenere sempre presente l'entità della superficie di vita privata che decidiamo di esporre. Mark Zuckerberg, Ceo e fondatore di Facebook, sostiene che la privacy ai tempi di Intenret è un concetto da superare. Probabilmente questa idea va fatta evolvere con un approccio più evoluto e maturo: nel Web, ciascuno ha il potere di definire il recinto oltre il quale gli altri non possono penetrare. Basta non pubblicare qualcosa se non la si vuole far sapere: in caso opposto, bisogna essere pronti ad assumersi le responsabilità delle conseguenze. E non sono pochi i casi in cui proprio a causa di frasi pubblicate su Facebook si incappa in situazioni più impegnative di quanto ci si aspetti. "Al fine di mantenere una società aperta in Rete dobbiamo riconoscere che, come individuo ogniuno di noi ha la responsabilità non solo di condividere informazioni, ma anche di gestire in modo attivo la propria digital footprint", dice sempre Hoetzl di 123people. E il sito è tra i primi a fornire uno strumento per controllare e gestire la reputazione on-line e il bagaglio di informazioni disponibili attraverso l'indirizzo http://m.123people.com, consultabile dal telefonino, e l'applicazione per iPhone.

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