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Questo articolo è stato pubblicato il 19 maggio 2011 alle ore 12:19.

Giovani e social network: «Twitter è una trappola»? È la domanda di Bill Keller, direttore del New York Times, il quotidiano più letto su internet dove non pochi giornalisti scrivono ogni giorno brevi messaggi nel social network per segnalare informazioni e discutere con i lettori in tempo reale. Ma la provocazione di Keller riguarda l'influenza della tecnologia sulle capacità cognitive e affettive dei giovani.
Ricorda che la figlia adolescente in poche ore dal suo primo ingresso su Facebook ha trovato "171 amici". E il direttore del giornale newyorkese scrive : «Prima di soccombere all'idolatria digitale, dovremmo considerare che l'innovazione avviene spesso a un prezzo. E qualche volta mi chiedo se il prezzo da pagare sia una parte di noi stessi». Nel suo album personale dei ricordi trova, per esempio, che l'uso della calcolatrice riduce la capacità di fare conti. Oppure, racconta l'abitudine a farsi guidare dal navigatore satellitare in automobile: non spinge le persone a memorizzare la geografia dei luoghi. Fino a twitter e YouTube: «Rosicchiano i nostri momenti di attenzione», scrive Keller. E descrive giovani nelle università americane che hanno difficoltà a capire come interpretare i dati elaborati in modo automatico con i software.
La risposta non tarda ad arrivare. E tra i primi a replicare è un giornalista del New York Times, Nick Bilton, sul suo blog. Sceglie una frase «dell'astuto Forrest Gump»: «Stupido è, chi lo stupido fa». Dice, insomma, che non sono le tecnologie a incidere in modo negativo sulle persone: dipende dalle scelte di ognuno. È un'argomentazione replicata da molti blogger. Gizmodo, ad esempio, è un punto di ritrovo per tecnoappassionati, dove i blogger dell'ala dura e pura osservano: «Twitter e qualsiasi tecnologia sono ciò che se ne fa. Se si decide di fare cose superficiali, si avranno esperienze superficiali. Ma se si usa per comunicare con altri a un livello più profondo, si possono avere più esperienze significative».
Bill Keller sapeva di soffiare sul fuoco con il suo articolo. Da tempo si moltiplicano gli interventi di chi sostiene le conseguenze impreviste delle tecnologie. A partire da un articolo di Nicholas Carr, Google ci rende stupidi?, pubblicato sulla rivista "The Atlantic". Molti cercano prove sperimentali nella biologia e nelle neuroscienze, ma al momento restano ipotesi limitate a casi specifici. Eppure il sovraccarico informativo generato dalla valanga di messaggi pubblicati nei social network è un problema anche per Facebook e Twitter. Che da tempo cercano soluzioni per ridurre la fatica degli utenti costretti a scandagliare ogni post e distratti dal continuo arrivo di segnalazioni. Per esempio, attraverso filtri automatici dei messaggi che selezionano i messaggi, oppure con liste di utenti. Di recente è emersa anche la risposta tecnologica di Storify: riunire in singoli spazi online i testi più significativi dei social network su argomenti di attualità. È la "news curation". Non a caso uno dei primi progetti arriva da un giornalista, Burt Herman, fondatore di Storify.
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