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Questo articolo è stato pubblicato il 05 ottobre 2012 alle ore 12:59.

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Adriano Olivetti, Steve JobsAdriano Olivetti, Steve Jobs

Steve Jobs deve tutto all'Italia, sono stati i nostri designer e il nostro amore per l'estetica a fare di un abile imprenditore il genio della Apple. È l'affascinante tesi di Art Molella, presidente del Lemson Center for Study of Invention and Innovation al Museo nazionale della storia americana di Washington, che al fondatore della Apple – scomparso esattamente un anno fa - ha dedicato l'articolo «L'anima italiana di Steve Jobs».

Tutto è iniziato nel 1981. «Come riporta Walter Isaacson nella sua biografia – spiega Molella al sole24ore.com – la presenza di Jobs alla International Design Conference di Aspen fu per la sua carriera un momento cruciale. La conferenza era dedicata quell'anno alla devozione totale per il design italiano, e per Jobs fu l'occasione di incontrare, tra le altre celebrità italiane, il designer Mario Bellini, il regista Bernardo Bertolucci, Sergio Pininfarina, Susanna Agnelli». «Ero andato a venerare i designer italiani, proprio come il bambino che è in Breaking Away venera i motociclisti italiani» dirà Jobs a proposito di quell'incontro, aggiungendo: «È stata una fonte di ispirazione incredibile». Allo stesso incontro dell'Aspen Institute, Jobs ha anche imparato ad amare il design della scuola Bauhaus.

«Ma è dagli italiani che lui apprese i principi del design funzionale, che definì quello stile che sta alla base del suo spettacolare successo – prosegue Molella -. Non deve quindi sorprendere che quando tornò alla Apple, nel 1997, cercò personaggi come Giorgetto Giugiaro o Ettore Sottsass, famoso per il suo lavoro alla Olivetti. Considerato il suo amore per il design italiano, Jobs fu certamente ispirato dallo "stile Olivetti" nello sviluppo di tutti i suoi prodotti di successo: dal Mac, all'iPhone, all'iPad».

Dalla sua morte sono stati fatti paralleli tra Jobs e altri visionari della tecnologia. Isaacson lo ha collegato a Thomas Edison, altri prima di lui avevano fatto paragoni con Edwin Land. «Per me – sottolinea Molella – una figura paragonabile a Steve Jobs è Adriano Olivetti, uno dei designer più influenti del 20esimo secolo, in Italia e altrove, in ambito tecnologico. Adriano ereditò l'azienda dal padre, negli anni '30, e fu presidente e guida spirituale dell'Olivetti, famosa per le sue eleganti macchine per scrivere. Un leader che, come Jobs, sviluppò il settore high-tech dei suoi tempi, fino a farne la chiave di un'azienda leader a livello mondiale. Negli anni '50 lanciò la linea di Computer Elea e negli anni '80 anche un pc - l'Olivetti M20 – tutti caratterizzati da un inconfondibile stile. Fu per un clamoroso errore – suggerito dall'iniziale scarso interesse suscitato - che l'azienda scelse di rinunciare a questo filone».

La Olivetti Programma 101 è stata spesso definita il primo portatile della storia. Grande come una scatola di scarpe, era più o meno capace delle stesse cose dei grandi computer. L'azienda ne vendette migliaia, ma l'Olivetti andò in crisi e i tagli si concentrarono in quel settore. Come noto, pochi anni dopo, a raccogliere quei cocci ci pensarono la Microsoft e la Apple, questa volta con un'enorme fortuna. «Olivetti e Jobs furono anime gemelle. Entrambi lasciarono la loro impronta in quell'ambito che riunisce arte, design e tecnologia. Chiunque abbia mai posseduto una macchina per scrivere Lettera22 sa perché è custodita al Museo di Arte Moderna . Non solo funziona perfettamente, è anche meravigliosa da vedere», continua Molella. «Modernista entusiasta, Adriano Olivetti considerava determinante l'atmosfera aziendale, dandogli la stessa importanza dei prodotti realizzati. A capo degli architetti più celebri di quegli anni, Adriano costruì industrie modello, negozi, scuole e case per i suoi dipendenti, come anche una città modello: il suo lavoro era per lui arte».

Jobs fece suo anche questo aspetto. «Dopo il suo viaggio in Italia, nel 1985, Jobs insiste per ricoprire i pavimenti e l'intera superficie esterna dei suoi Apple stores con la stessa pietra grigio-blu che aveva visto nei marciapiedi di Firenze. Volle – senza badare all'esorbitante costo – la stessa pietra dalla stessa cava, Il Casone di Pietraserena, impegnando gli artigiani fiorentini per tagliare i blocchi in lastre». Queste poi partiranno per l'America – con un viaggio di 11 giorni da Livorno – e per altri negozi Apple nel mondo.

Ispirati dalla loro comune passione per la bellezza nella tecnologia, «sia Olivetti che Jobs collezionavano geni del design per le loro aziende. La figura di Jony Ive alla Apple è la controparte di Marcello Nizzoli per l'Olivetti». Jobs ammirava quest'azienda e conosceva le sue menti più importanti. Come ha ricordato Elserino Piol, ex dirigente di Olivetti, Steve Jobs andò a far visita alla Olivetti di Ivrea nei primi anni '90. «Era molto affascinato dall'attenzione che noi italiani davamo al design e all'immagine – ha raccontato Piol -. Ricordo che ci rimase male quando gli dicemmo che l'architetto Pellini, che all'epoca disegnava i nostri modelli, si trovava a Milano: insistette per andare nel capoluogo lombardo e incontrarlo». Jobs tenterà anche di avere Mario Bellini tra i suoi. L'inventore della Programma 101, il già citato primo desktop del mondo, fu contattato personalmente da Steve Jobs, allora ancora poco noto. Bellini rispose che avevo un contratto di consulenza esclusiva con Olivetti e che quindi non poteva collaborare con Apple.

Il gusto e lo stile italiani divennero presto punti centrali della strategia aziendale di Jobs, garantendo il vantaggio di Apple sulla concorrenza. «Il primo esempio è l'iPod – sostiene Molella -. Jobs arrivò in ritardo a pensare di unire musica e personal computer. Hp e altri avevano già incluso lettori Cd nelle loro macchine, e il concetto di musica digitale era già avanzato, con l'avvio del mercato degli MP3. Jobs ammise di avere perso e di dover recuperare terreno in questo ambito: bene, con iTunes, iTunes Store, e il fantastico successo del minimalismo bianco dell'iPod, un miracolo di semplicità e funzionalità, Jobs vinse nonostante il ritardo».

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