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Questo articolo è stato pubblicato il 20 febbraio 2013 alle ore 11:41.
Perderanno potere e soldi i vecchi padroni del petrolio. Mentre gli Usa stanno già trovando il nuovo Eldorado. Intanto la Cina, e forse l'India, potranno soddisfare così gran parte della loro nuova fame di crescita economica. E che dire della mirabolante opportunità che si apre per il Giappone, felice di ricavare dal suo sottosuolo preziosi idrocarburi per attutire almeno un po' la dipendenza totale dall'importazione di fonti energetiche. Ma la strabiliante (e ghiotta) novità potrebbe riguardare il mondo intero. Da qui al 2035 lo shale oil, il petrolio che come il gas si sta estraendo per quote crescenti con la tecnica della fatturazione profonda delle rocce, potrebbe portare sui sempre più ingordi mercati energetici mondiali il 12% di capacità potenziali più nella produzione mondiale. Ben 14 milioni di barili al giorno in più che potrebbero allo stesso tempo decongestionare, di molto, i prezzi medi dell'oro nero. Regalando al globo terracqueo un Pil aggiuntivo tra il 2,3 e il 3,7%, tra 1,7 e 2, 7 miliardi di dollari Usa in valori odierni. Insomma, un piccolo pianeta equivalente all'Inghilterra aggiunto all'economia della terra.
Proprio grazie allo shale oil (altrimenti detto thight oil) che potrebbe guadagnare il 12% della produzione mondiale di petrolio, con 14 milioni di barili al giorno in più. Con tutto il suo carico di sconvolgimenti degli equilibri economici e nella geopolitica che ne consegue. Perché la distribuzione di questa ricchezza aggiuntiva avverrà in stretta correlazione sulle caratteristiche geologiche e sulle capacità, tecnologiche ma anche politiche, di sfruttare queste risorse e di impiegarle al meglio, nello sviluppo locale e nel grande commercio mondiale di risorse energetiche.
La nuova abbondanza
Scenario denso di indubbie suggestioni quello tracciato nello studio "Shale oil - la prossima rivoluzione energetica" allestito da Price Waterhouse Coopers. Una rivoluzione davvero storica. Anche perché al di là dei valori (immensi) in gioco "i benefici economici di un calo dei prezzi petroliferi saranno molto diversi tra un paese e l'altro" incalza John Hawksworth, capo-economista di PwC e coautore dello studio. "Secondo la nostra analisi per scenari alternativi – spiega Hawksworth - i maggiori importatori netti di petrolio, come l'India e il Giappone, potrebbero vedere il proprio Pil crescere di circa il 4%-7% entro il 2035, mentre per Stati Uniti, Cina, Germania e Regno Unito l'aumento sarebbe compreso tra i 2 e i 5 punti percentuali. Viceversa, i maggiori esportatori di petrolio come la Russia e il Medio Oriente potranno risultare tra i perdenti a lungo termine, a meno che non riescano a sviluppare le proprie risorse di shale oil su larga scala".
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