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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2013 alle ore 12:36.

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Il nucleare del futuro? I Russi lo fanno galleggiare. I francesi lo immergono

Guai a dare il nucleare per spacciato, o almeno momentaneamente accantonato sull'onda del disastro di Fukushima e della smobilitazione promessa in mezza Europa. Nel mondo e perfino qui, nel Vecchio Continente, ecco il ripensamento del ripensamento. L'Inghilterra vuole sostituire le vecchie centrali atomiche con quelle di nuova generazione. La Germania rallenta le chiusure programmate. La Francia, campione mondiale dell'atomo elettrico, non vuole sentire parlare di retromarcia. Il nucleare continuerà dunque a fare la sua parte. Magari con maggior attenzione alla sicurezza, all'evoluzione tecnologica. Guardando magari alla grossa novità che giunge da uno dei paesi capofila nella storia dell'energia atomica: la Russia. Dove la novità, annunciata da almeno un decennio, pare stia prendendo forma.

Cina e Argentina ci pensano

Potrebbe prendere il largo entro un paio d'anni la prima centrale nucleare galleggiante del mondo. Russa, appunto. Si chiamerà Akademik Lomonosov. Sorgerà attorno a due collaudati reattori Klt-40 adattati per la bisogna. Con una potenza elettrica complessiva di 70 MW fornirà energia elettrica ad almeno 200mila famiglie o piccole imprese. Prime candidate le comunità locali dell'estremo oriente russo , in Ciukotka o in Kamcatka. Ma potrebbe, se funzionerà davvero e se si guadagnerà tutte le certificazioni di sicurezza anche internazionali promesse dai russi, essere usata anche in altre parti del paese e anche per altri usi. Oltre a garantire l'energia in aree remote e difficili da raggiungere con gli impianti tradizionali di distribuzione dell'elettricità potrebbe essere impiegata ad esempio per desalinizzare l'acqua, con una capacità stimata di 240mila metri cubi al giorno. In Russia ma anche in giro per il mondo: contatti esplorativi per esportare le nuove mini centrali flottanti sarebbero già stati avviati con i cinesi e gli argentini.
I parametri economici (per ora teorici, s'intende) sono interessanti. Costo stimato 400 milioni di euro (16 miliardi di rubli) a centrale, ammortizzabili in non più di sette anni garantendo un'operatività di almeno 40 anni, azzardano gli artefici russi. Che rassicurano sui requisiti (sempre teorici) di sicurezza dell'impianto, integrato in un battello specifico che appare come un enorme chiatta di metallo lunga 140 metri è larga 30, capace (nelle promesse ) di resistere anche il più tremendo dei maremoti.

La tentazione del "riciclo"

Promesse accattivanti. Accompagnate però, come sempre accade quando si ha a che fare con energia nucleare, con altolà, obiezioni e in questo caso anche sottointese maldicenze. Di sicuro la gestione della sicurezza di una centrale mobile piazzata al largo delle coste pone qualche problema supplementare rispetto ad una centrale tradizionale terrestre. Ma ecco il sospetto, che nasconde una possibile buona opportunità tecnologica e commerciale ma anche il possibile rischio di malagestione di infrastrutture nucleari magari non di primo pelo. Già, perché a scandagliare bene la tecnologia dei reattori Klt 40 si scopre che fanno parte della famiglia dei motori atomici impiegati nei vecchi sottomarini russi. Mini reattori nei quali gli scienziati dell'ex impero sovietico hanno maturato una eccellente esperienza grazie all'apparato bellico locale, ma che rappresentano la parte più delicata della gigantesca operazione di smaltimento della vecchia flotta nucleare russa. Operazione nella quale è impegnata direttamente, con un ruolo di primo piano, anche la nostra Sogin, l'azienda a controllo pubblico creata per gestire le nostre scorie nucleari e il decommissioning delle vecchie centrali italiane. Che però sta tentando anche di fare affari in giro per il mondo, grazie alle sue buone competenze, con le attività assimilabili a questa filiera industriale.
In Russia la Sogin smonta sottomarini da più di un quinquennio. Contribuisce a mettere in sicurezza tutto il materiale, a partire dai reattori, che sono sostanzialmente gli stessi di quelli che ora la Russia vorrebbe utilizzare per le centrali galleggianti. La tentazione russa di riciclarli, almeno in parte, potrebbe essere davvero forte.

Sicurezza alla prova

Va detto che tutto il mondo è paese, quando si tratta di agguantare nuovi orizzonti tecnologici a costo di rischiare un po'. L'idea di esplorare l'orizzonte delle mini centrali o addirittura delle micro centrali nucleari non è solo russa. Anche i francesi gli americani studiano la cosa. Certo, al di fuori della Russia i progetti sembrano ancora allo stato embrionale. Ma qualcosa, specie in Francia, sta prendendo forma. Il gruppo d'oltralpe Dcns, che costruisce navi da guerra e sottomarini a propulsione nucleare, ha abbozzato insieme al leader del nucleare francese Areva il progetto Flexblue, una centrale " sommergibile" da ancorare sul fondo marino lunga 100 metri capace di lavorare autonomamente, senza personale. O meglio con un controllo remotizzato dalla superficie. I progettisti vogliono rassicurare, anche se le loro parole rischiano di creare, al contrario, qualche turbamento: piazzando la centrale a 100 metri sotto il livello del mare una fusione del nocciolo (il temutissimo meltdown, l'estrema catastrofe in cui può incorrere una centrale atomica) "è molto improbabile se non impossibile", perché raffreddare il reattore in ebollizione altrimenti incontrollata sarebbe automaticamente l'acqua marina. Ai villeggianti, e anche ai pesci, è raccomandata prudenza.

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