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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2014 alle ore 17:20.
L'ultima modifica è del 13 maggio 2014 alle ore 18:48.

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Airbnb è un portale web che fa incontrare la domanda di chi cerca un alloggio per un breve periodo (dalla camera al castello) con l’offerta di chi è in grado di affittarne. I numeri raggiunti dalla startup californiana sono notevoli: valutata dieci miliardi di dollari ha annunciato, durante lo scorso mese di ottobre, di avere servito 9milioni di clienti per un numero imprecisato di soggiorni, 5milioni dei quali durante un solo anno solare mentre gli altri 4milioni durante i primi quattro anni di attività. Ma presto potrebbe andare oltre, come ha annunciato Nathan Blecharczyk, co-fondatore e Chief technical officer di Airbnb, con la vendita di servizi aggiuntivi: biglietti aerei, prenotazioni al ristorante e così via per offire «la comodità di un albergo».

Ad inizio 2013 la matrice di business di Airbnb è stata oggetto di una ricerca svolta da Michael Patcher, analista al soldo della rivista Forbes, che non ha posto limiti al potenziale ancora da esprimere, ipotizzando un futuro in cui l’utile annuo di Airbnb raggiungerà il miliardo di dollari. A fine 2012 l’utile netto è stato di 190milioni di dollari a fronte di un fatturato di 1,89miliardi. Un contributo di rilievo al vasto mondo della sharing economy, presente con radici più o meno lunghe in 192 Paesi.

Sembra un successo annunciato, largamente condiviso dagli investitori che, nel corso dei cinque anni di attività della startup fondata da Brian Chesky, hanno più volte staccato assegni corposi, con un climax raggiunto a metà aprile da TPG - Led Group che ha fatto scivolare, attraverso i cordoni della borsa, ben 450milioni di dollari.

Un fenomeno che può fungere da sprone sia agli startupper sia a tutti coloro che vedono nella sharing economy una terra promessa. Non sono solo rose e, come sempre, c’è un “ma”.

Airbnb è legale?
A New York è in corso una disputa che vede il procuratore Eric Schneiderman e gli esercenti schierati, seppure per motivi diversi, contro Airbnb. La giustizia pretende l’elenco di coloro che affittano alloggi privati tramite il web mentre gli albergatori lamentano una netta diminuzione dei pernottamenti. Il procuratore si avvale di un precedente, datato gennaio 2013, costituito dal caso Nigel Warren al quale è stata elevata un’ammenda di 2.400 dollari per avere affittato una stanza per meno di 30 giorni, limite temporale al di sotto del quale si scade nell’illegalità. La senatrice Liz Krueger getta benzina sul fuoco e invita a porsi domande circa la sicurezza, anche quella nazionale, a suo dire non garantita dalla politica di Airbnb che si accontenta della copia di un documento di identità di chi vi fa ricorso senza effettuare altri controlli.

A San Francisco l’atmosfera è ancora più tesa: le autorità paventano il sequestro degli immobili a chi non rispetta le leggi sugli affitti. Per entrare nelle grazie delle autorità Airbnb si è detta disposta a pagare imposte alla città per 1,9milioni di dollari, promessa non ancora mantenuta.

In Germania la Corte federale è orientata a ricalcare il modello adottato in Nuova Zelanda e in diversi altri Stati americani, laddove solo chi possiede immobili può concederli in affitto per periodi brevi, facoltà non concessa a chi vive in affitto. Nel frattempo Berlino vieta Airbnb, non a tutela degli albergatori ma per difendere l’aumento garibaldino delle pigioni. In Italia Airbnb consiglia a chi intende affittare un alloggio di consultare gli appositi regolamenti locali.

Tasse e spese aggiuntive
Oltre al prezzo del soggiorno chi sceglie un alloggio deve calcolare una spesa extra variabile dal 6 al 12% da destinare ad Airbnb (la quale preleva anche il 3% da chi mette a disposizione l’alloggio). In alcune città, anche per contrastare il fenomeno, sono state introdotte delle tasse di soggiorno che ricadono sul cliente finale. A San Francisco, dove è nata Airbnb, si registrano le più alte, pari al 14% del prezzo pagato; in altre località, come ad esempio a New York, la tassa è del 9% alla quale occorre aggiungere 1,5 dollari per ogni giorno di permanenza. Gli host (coloro che affittano) possono avvalersi del diritto di pretendere caparre e spese supplementari, ad esempio per le pulizie degli spazi locati. Non si paga in contanti, tutte le transazioni devono avvenire sul sito.

Conviene davvero?
Il blog Consumerist, a metà del 2013, ha fatto un’indagine per comprendere se chi sceglie Airbnb per risparmiare fa davvero un buon affare o meno. Numeri che parlano da soli e che mostrano come in alcune città tra quelle prese in esame ci sia un risparmio più che sensibile ma che non tengono conto delle tasse eventualmente introdotte in seguito e all’impatto che Airbnb ha avuto sui prezzi di alberghi e hotel. La partita è aperta, l’importante è non dare per scontato che il risparmio sia garantito. Prima di prendere in affitto un alloggio inoltre andrebbero lette con attenzione le politiche di cancellazione scelte dall’host che possono essere di cinque tipi: da “flessibili” a “lungo termine”.

Il futuro di Airbnb
Comunque vada sarà un successo. Nathan Blecharczyk, co-fondatore e Chief technical officer di Airbnb, ha rilasciato un’intervista al Financial Times rivelando che l’azienda sta già guardando oltre, intenta ad individuare una gamma tra prodotti e servizi che possono essere venduti ai propri utenti. Non solo prenotazione di ristoranti, di viaggi o di programmi turistici.

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