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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2011 alle ore 06:39.
«Evviva la Repubblica, Iddio e la Libertà. Chi ama seguire la nostra bandiera, si deve munire di fede sincera, speranza e fervore, amor, carità». Così il Cantico delle sante milizie crocifere della nazione latina nel governo della repubblica, che i seguaci di David Lazzaretti recitavano nei giorni del 1878 nei quali si compì il destino del Messia dell'Amiata. Il 15 agosto di quell'anno si raccolsero in alcune migliaia sul Monte Labbro, intorno alla torre a secco che avrebbe dovuto poi diventare la "città eternale della Nuova beata Sion, Santuario dei santuari".
Attesero fino a sera che si manifestassero le schiere di angeli annunciate da David, per l'avvento del Nuovo regno dello Spirito Santo. Ma non accadde niente. E dopo aver bivaccato e pregato per tre giorni, il 18 agosto scesero tutti in processione fino ad Arcidosso. I fedeli nei costumi disegnati da Lazzaretti, con gli stendardi e i gonfaloni e le bandiere rosse che annunciavano la Repubblica Regno di Dio. In testa lo stesso David, armato di tre bastoni incrociati e vestito di tunica celeste, camicia rossa e pantaloni bianchi.
Alle porte del paese lo attendeva un plotone misto di carabinieri e guardie comunali guidato dal delegato di pubblica sicurezza Carlo De Luca. «Io vado avanti in nome di Cristo, duce e giudice», si sentì dire al profeta nel parapiglia. Poi una sola pallottola lo colpì in fronte, proprio là dov'era tatuato l'emblema dei Giurisdavidici: due C contrapposte e unite dal segno della croce, a significare il prossimo arrivo di un secondo Cristo.
La movimentata fotografia degli ultimi giorni di Lazzaretti non rende giustizia alla storia del personaggio, né alla fortuna che la sua memoria avrebbe poi raccolto presso gli interpreti più diversi. Se Cesare Lombroso lo incluse di diritto nella categoria patologica dei "mattoidi", considerandolo niente più che "un povero maniaco allucinato" al quale tuttavia era stato applicato un eccesso di repressione (perché «simili individui, un ben inteso manicomio e la compagnia d'un medico li riconducono con tutta facilità al silenzio e all'impotenza»), Antonio Gramsci nei Quaderni lo avrebbe inquadrato nel «sovversivismo delle classi subalterne»: leggendolo dunque come protagonista di «un risveglio di dottrine religiose d'altri tempi con una buona dose di massime socialistoidi e con accenni generici alla redenzione morale dell'uomo, che non potrà attuarsi se non col pieno rinnovamento dello spirito e della gerarchia della Chiesa cattolica» e prova concreta che «le masse rurali, in assenza di partiti regolari, si cercavano dirigenti locali che emergevano dalla massa stessa, mescolando la religione e il fanatismo all'insieme di rivendicazioni che in forma elementare fermentavano nelle campagne».