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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2011 alle ore 14:14.

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La moneta dell'Italia unita: dalla lira all'euroLa moneta dell'Italia unita: dalla lira all'euro

C'erano una volta il baiocco, il quattrino, il carlino, il fiorino, il ducato, il marengo, il papetto e lo zecchino. C'erano il tallero, il testone, lo scudo, la lira e la lirazza. Anche l'onza, il paolo e il papetto. Se l'Italia a inizio 800 dal punto di vista politico era una «mera espressione geografica», come la definì Metternich, dal punto di vista monetario era anche peggio: una vera e propria babele. Esistevano sei diversi sistemi monetari, con al loro interno 236 diverse monete metalliche. Poca carta e molto metallo. Ma soprattutto molta confusione.

E ancor più povertà. Nata l'Italia, nel 1861, fu ovvia l'esigenza di creare una moneta unica. Così 140 anni prima della nascita dell'euro, con tutto lo strascico di polemiche che ancora oggi l'accompagna, gli italiani hanno già vissuto un'unificazione simile e forse ancora più complessa: la nascita della lira. È il 20 agosto del 1862. Il Senato del Regno d'Italia vara la legge sull'unità monetaria. È la legge Pepoli, dal nome di Gioacchino Napoleone Pepoli. Non uno qualunque: è il nipote di Gioacchino Murat e Carolina Bonaparte.

Solo due sono i voti contrari, mentre 68 senatori si esprimono a favore della nuova moneta: fatta l'Italia, in attesa di fare gli italiani, ecco che con una legge che oggi definiremmo "bipartisan" viene fatta la lira. «La moneta – scrisse Pepoli – è il monumento più popolare, più costante e più universale che rappresenti l'unità della nazione». E Pepoli aveva certamente la capacità di guardare avanti. Addirittura si spinse ad auspicare «l'uniformità del sistema monetario in Europa». Ci sono voluti altri 140 anni per accontentarlo, ma anche questo è accaduto.

Il cammino della nuova moneta (che in realtà nuova non è perché è già la valuta piemontese) non è però semplice: dopo l'unità d'Italia, non è facile capire quale sistema monetario adottare. Come evidenziano Sergio Cardarelli e Massimo Omiccioli della Banca d'Italia, in Parlamento si è discusso molto sull'opportunità di introdurre il sistema austriaco oppure quello francese. Il primo, in vigore in Lombardia, Toscana e nel Regno delle due Sicilie, prevede l'utilizzo solo dell'argento. Il secondo, in uso invece nel Regno di Sardegna, a Parma e negli stati pontifici, utilizza anche l'oro con un tasso di cambio fisso tra i due metalli. Ovvio che i legami dei Savoia con la Francia, e soprattutto il fatto che il Piemonte già utilizzi quel sistema, ha fatto pendere l'ago della bilancia verso il sistema francese: oro e argento.

Però questo sistema ha un effetto collaterale: piano piano provoca la riduzione dell'utilizzo dell'argento, relegato alle monete più piccole perché conviene usare la materia prima per usi commerciali. Questa marginalizzazione dell'argento ha l'effetto pratico di rendere più difficile la gestione delle spese quotidiane: la moneta d'oro più piccola vale infatti cinque lire, mentre per comprare mezzo chilo di pane servono appena 25 centesimi. Insomma: per rendere la nuova lira utilizzabile per le piccole spese quotidiane servono le monete d'argento. E anche quelle di bronzo. Inizia così un lungo processo di ritiro delle monete vecchie per sostituirle con alcune nuove. Al Nord nel 1865 la conversione è conclusa. Al Sud ci vuole più tempo: solo dopo il 1871, con il calo del prezzo dell'argento, si riesce a completare l'operazione. Per avere le banconote – allora diffuse solo per l'8% – ci vuole la terza guerra d'indipendenza: la Banca Nazionale eroga un prestito da 250 milioni allo stato e le sue banconote iniziano a circolare.

A quel punto si presenta un altro problema: per molti anni sono sei gli istituti autorizzati a emettere i biglietti del nuovo regno. Nessuno, in quegli anni, sente l'esigenza di unificarli per non urtatre le già tese sensibilità locali. Serve uno scandalo, una gigantesca bolla speculativa e una crisi bancaria che coinvolge la Banca Romana, per spingere l'italica inerzia al cambiamento: è così che, solo nel 1893 Giovanni Giolitti detta nuove regole per l'emissione di carta moneta e crea la Banca nazionale. Un secolo abbondante più tardi sarà la Banca centrale europea a prendere il suo posto. Pepoli, in fondo, l'aveva previsto.

I LIBRI SULL'UNITA' D'ITALIA

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