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Questo articolo è stato pubblicato il 12 marzo 2011 alle ore 08:13.
«Infandum regina iubes renovare dolorem», «tu mi constringi, regina, a rinnovare un indicibile dolore». Parte dagli amati studi classici, con Enea che risponde così alla regina Didone ansiosa di conoscere la sua lunga, tormentata storia, la nostra conversazione con Carlo Azeglio Ciampi su come il nostro paese si sta attrezzando a celebrare i 150 anni dell'unità nazionale. Già perché è lì, nel patrimonio culturale più antico e consolidato che ancora oggi occorre attingere, per trovare il senso profondo della nostra identità culturale.
Perfettamente d'accordo, presidente, sul valore e l'attualità dei nostri classici. Forse sarebbe il caso di ribadirlo, in una stagione in cui la cultura pare relegata a un ruolo marginale. Negli ultimi cinque anni l'intervento dello Stato è diminuito di oltre il 30% e ora, dulcis in fundo, si prospetta il congelamento di altri 27 milioni di euro del fondo unico per lo spettacolo.
Guardi, ho sempre sostenuto che la cultura è uno dei nostri principali asset strategici. Abbiamo un patrimonio culturale e artistico di straordinario valore, con enormi potenzialità per la crescita del nostro paese. È singolare che, in presenza di pur oggettive difficoltà di bilancio, si riproponga nuovamente il tema dei tagli alla cultura, quasi che la cultura fosse il primo bene cui rinunciare quando occorre tirare la cinghia. Lo ha ricordato di recente il presidente Napolitano, quando ha osservato che dobbiamo aprire una seria discussione e individuare nuove strade per il nostro sviluppo economico e sociale. Ma non le troveremo - cito - attraverso una mortificazione della risorsa di cui l'Italia è più ricca: la risorsa cultura nella sua accezione unitaria.
La lingua è stata indubbiamente un fattore unificante. L'impressione è che anche questa sia una verità che alcuni danno per scontata, e altri perfino ignorano.
Nel corso di alcuni incontri al Quirinale, come ho ricordato in più occasioni anche recenti, provai a leggere di seguito due passi di due poesie. La prima scritta nel Trecento da Petrarca, la seconda nell'Ottocento da Leopardi. Chiesi agli studenti: qual è il Petrarca, qual è il Leopardi? Due opere composte a cinque secoli di distanza, eppure non c'era differenza. Un esempio semplice, se vuole, per dimostrare il valore della nostra lingua quale elemento unificante del paese. Cito Manzoni, che nel 1868 osservava come «dopo l'unità di governo, d'armi e di leggi, l'unità della lingua è quella che serve di più a rendere strettamente sensibile e profittevole l'unità di una nazione». Ecco un modo per far sì che i centocinquanta anni dell'unità contribuiscano ad esaltare i veri fattori della nostra identità nazionale.
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