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Questo articolo è stato pubblicato il 12 aprile 2013 alle ore 06:48.
L'ultima modifica è del 12 aprile 2013 alle ore 07:10.

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Nella foto il palazzo del Quirinale (Imagoeconomica)Nella foto il palazzo del Quirinale (Imagoeconomica)

L'idea di un presidente della Repubblica eletto con larghi consensi è un primo spiraglio utile emerso dall'incontro Bersani-Berlusconi in questa tormentata fase politica.
Sarebbe ancora più utile se il consenso riguardasse anche il profilo della persona - uomo o donna - che dovrà presiedere la nostra Repubblica nel prossimo settennato: un periodo che sarà comunque difficile, anche se si superasse l'attuale impasse politica (ed economica).
Abbiamo visto tutti come la presidenza della Repubblica abbia assunto negli ultimi anni un ruolo decisivo per gli equilibri politici del Paese, in direzione di un presidenzialismo di fatto.
Questo ruolo è destinato a durare oltre la crisi, anche a prescindere da eventuali riforme istituzionali che lo rafforzino. Per questo motivo sarebbe grave e irresponsabile, che in nome del cambiamento si scegliesse un profilo di presidente "nuovista", privo di esperienza politica e di qualità anche gestionali sperimentate. In un contesto di grande incertezza diffusa nel Paese e riflessa nell'economia e nella politica serve una persona equilibrata che dia affidamento a tutti e che testimoni queste capacità con la sua storia. Inoltre nell'attuale contesto europeo e mondiale queste doti dovrebbero essere accompagnate da un'esperienza e da una affidabilità internazionale, come è stato per il presidente Napolitano.

A questo criterio fondamentale se ne dovrebbe aggiungere un altro. Al nuovo presidente servirà, oltre a una grande esperienza e sensibilità istituzionale, un'altrettanto provata sensibilità sociale.
La gravità della questione sociale è sotto gli occhi di tutti, ma rischia di essere oscurata, al di là dei riconoscimenti verbali, dall'urgenza delle riforme istituzionali, legge elettorale in primis. Le due urgenze non sono inconciliabili perché senza stabilità e trasparenza istituzionale soffrono anche le imprese e i lavoratori.
Ma il rischio c'è. Tanto più che la questione sociale è da sempre fortemente (troppo) conflittuale nella nostra storia, persino più dei temi istituzionali.
Nella questione sociale comprendo sia le difficoltà delle imprese, sia quelle del lavoro, bisognose di scelte precise e innovative.
Sono troppi ancora in Italia che tengono separati i due aspetti del problema, cioè la crisi delle imprese e del lavoro; perché mantengono, con motivi diversi da destra e da sinistra, contrapposizioni oggi più anacronistiche che mai.
Il peso di queste contrapposizioni risulta evidente dalle misure in materia sociale e del lavoro prese in questi anni, poco efficaci e spesso contradditorie. Il contrasto non è minore se si confrontano i programmi presentati agli elettori dai maggiori partiti. Occorrerà individuare priorità precise con risorse scarse, senza concedersi a promesse insostenibili anche nell'affrontare problemi veri, come è la proposta di redditi minimi garantiti; d'altra parte senza vagheggiare il rilancio di ricette neo-liberiste, tristemente sperimentate; o anche pensando di risolvere il dramma della disoccupazione giovanile, con incentivi a pioggia (magari per assunzioni improbabili).

La lista delle proposte avventate e di quelle contrapposte potrebbe continuare. Ma dovrebbero bastare questi pochi esempi per convincerci che per superare tali contrapposizioni - oggi più deleterie che mai - servirà grande equilibrio e capacità di mediazione. Queste doti si richiederanno anzitutto al governo - sperando che sia all'altezza - ma anche se il governo lo fosse, saranno richieste al massimo rappresentante della Repubblica; perché affrontare la questione sociale è una prioritaria responsabilità repubblicana verso tutti i cittadini, a cominciare da quelli più colpiti dalla disoccupazione e dal disagio e per combattere le derive populiste.
Le scelte che si faranno nei prossimi anni per sostenere le imprese come per combattere la disoccupazione e la povertà saranno il test decisivo per la ripresa economica e civile del Paese, per dimostrare la nostra capacità di ritrovare coesione e unità nazionale e per combattere le derive populiste.

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