CENTOCINQUANT'ANNI D'ITALIA

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Scuola, inno e cultura hanno fatto gli italiani. Cosa riserva il futuro?

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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2010 alle ore 14:08.

CREATIVITÀ E IMPRESA
BILL EMMOTT - Scrittore e giornalista
Il vero made in Italy? La conoscenza

Oggi, in Italia, imprenditori, politici ed economisti sono ossessionati dal made in Italy e dall'idea che l'industria manifatturiera rappresenta la grande forza economica del Paese. Ma la maggiore industria dei servizi è la cultura, che negli ultimi centocinquant'anni ha costituito la forza fondamentale dell'Italia, e che sarà ancora più importante nei centocinquanta a venire.
Perché? Perché le idee e la conoscenza sono il fondamento della società contemporanea. Con la popolazione che invecchia, con la tecnologia che rende le distanze sempre meno importanti, e con l'ingresso a pieno titolo della Cina, dell'India e di altri Paesi in via di sviluppo nell'economia mondiale, la produzione manifatturiera poco qualificata praticata nei distretti industriali italiani è una cosa del passato. È insensato, e controproducente, cercare di combattere queste tendenze creando nuove fonti di manodopera a buon mercato, attraverso la precarizzazione del lavoro o l'immigrazione di massa. Le aziende devono diventare più sofisticate e puntare sulla conoscenza, se non vogliono scomparire.
Anche le nazioni devono darsi da fare per cercare di sfruttare i loro punti di forza più sofisticati. In Italia uno di questi punti di forza è la cultura: gli artisti, i designer, i musicisti, gli architetti, i cineasti, gli attori, gli scrittori e altri, che sono riusciti con tanta efficacia a definire l'immagine dell'Italia nel mondo. Servizi creativi offerti in ogni parte del pianeta nel campo delle arti contemporanee, del design, del marketing e dell'architettura, oltre che nel campo del patrimonio artistico tradizionale: tutto questo è, o dovrebbe essere, un elemento fondamentale del futuro dell'Italia.
Bill Emmott, autore di Forza, Italia: Come ripartire dopo Berlusconi (Rizzoli)
(Traduzione di Fabio Galimberti)

PATRIMONI CULTURALI
NICOLAI LILIN - Scrittore
Nuovo Rinascimento per la terra di Mameli

La cultura in Italia è importante da sempre, non lo è stata solo nel corso degli ultimi centocinquanta anni, ma anzi senza esagerare posso affermare che per me l'Italia è la culla della cultura moderna. Per molte persone questa terra su cui noi viviamo ogni giorno rappresenta qualcosa di sacro, eterno, unico e maestoso. Quando parliamo della cultura, della sua matrice, delle correnti classiche, il pensiero vola subito a Da Vinci, Brunelleschi, Dante, Verdi e altri grandi Italiani, che attraverso la forza e il coraggio della loro espressione creativa hanno insegnato al mondo i segreti della raffinatezza dell'essere. Negli ultimi anni, dopo l'Unione d'Italia, nonostante le difficoltà politico–sociali e i continui cambiamenti dei ruoli in ambito geopolitico, in un periodo in cui lulla del nostro futuro è sicuro, di una cosa l'Italia può essere certa, del suo patrimonio culturale e delle giovani generazioni, che crescono nutrite di questa magnifica e importante tradizione di creatività.

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L'inno di Mameli rappresenta meglio di ogni altra opera il valore del contributo culturale sulla quale sono cresciute generazioni di patrioti Italiani. Dentro quest'opera c'è tutto: la bellezza della lingua, la poesia dai tratti fini e quasi fragili che in alcuni momenti diventano una tempesta di fuoco infernale, quasi un'ira di Dio, tanto appaiono forti. Poi il significato, le metafore espresse con raffinatezza ma nello stesso modo con una forte identità epica, dentro le quali appaiono i frammenti della storia millenaria di questo paese. E pensare che a scrivere questo inno è stato un giovane ragazzo, che ha avuto il coraggio e passione per esprimere le sue speranze, desideri, credi.
Ogni giorno di questi centocinquanta anni è prezioso, perché rappresenta il percorso di una nazione libera, di gente che ha contribuito per costruire il proprio futuro. Le opere d'arte e l'architettura, la musica, la lirica, la letteratura, e il patrimonio archeologico, ogni cosa in questo paese sembra essere impregnata dell'eternità stessa, sembra quasi che la stessa eternità abbia paura che gli uomini creino qualcosa più immortale di lei. E' impossibile scegliere tra tutto patrimonio culturale italiano alcune singole opere come le più importanti, anche perché nominandone alcune mi sembrerebbe di trascurarne tantissime altre, altrettanto importanti. Per questo dirò solo che noi viviamo nell'epoca in cui l'uomo ha raggiunto la più alta libertà di espressione, che nella maggior parte dei casi si è verificata e continua a verificarsi proprio nel nostro paese, questo è un fatto del quale tutti noi dobbiamo essere orgogliosi.
Nel nostro futuro la cultura deve diventare tutto: contenitore sociale e individuale, concentrazione della ricerca interiore ed esteriore degli esseri umani. Credo che proprio per questo siamo molto avanti rispetto ad altri paesi e spero che la nostra bellissima nazione potrà rivivere i più bei momenti di un nuovo Rinascimento, che aprirà le porte in un'altra epoca gloriosa, riconciliando l'uomo con l'universo.

PASSATO E PRESENTE
ACHILLE VARZI - Filosofo
Aspettando i Tartari e il cielo sereno

Di quest'Italia che fatica, di questo Stato che tentenna ancora a guardarsi allo specchio, di questo nostro Paese che tanto ha saputo dare, e non solo a noi, ma di cui oggi stentiamo a riconoscere il profilo, di questa nostra Terra a cui manca un presente, prima ancora che un futuro, e che anzi sorprende per la sua impermeablità alla storia, quasi fosse normale pensare che gli eventi scivolino sempre verso altre valli senza lasciar solco, di questa Nazione stanca dove tutti, quasi tutti, ci ritroviamo increduli a scrutare il giallo orizzonte del deserto in attesa di quei Tartari che non arrivano, di questa Patria sempre più tartufesca e panglossiana, divisa tra intolleranza e indifferenza, dove non sappiamo nemmeno accogliere chi si vuole unire a noi e riabbracciare chi da noi vuole tornare, pur conoscendo bene il sapore di quelle lacrime, di questo pezzo di Europa che mai come oggi ha bisogno di tutti coloro che la abitano e vorrebbero abitarla e tornare a farne ciò che potrebbe essere celebreremo davvero l'anniversario di questo nostro Suolo pensando che basti innalzare dappertutto pertiche e bastoni e arrampicarsi controvoglia, le gambe intrecciate e i busti piegati all'indietro, o sui fianchi, come nella storia dell'orante, per issare con grosse funi giganteschi teli di lino azzurro e poi tenderli in alto, e tenerli tesi, affinché ci appaia un cielo sereno?

ISTRUZIONE
GIUSEPPE LATERZA - Editore
Il fascino segreto della Costituzione

La cultura è stata un potente fattore di integrazione delle tante Italie presenti al momento dell'unificazione.Il ruolo principale lo ha svolto la scuola ed è grazie al lavoro degli insegnanti che la lingua italiana – nel 1861 parlata da una infima minoranza – è oggi il nostro principale veicolo di comunicazione.
Le classi dirigenti italiane – salvo poche eccezioni – hanno avuto una idea elitaria della cultura: temendo l'effetto 'sovversivo' dell'istruzione di massa si è investito poco nella scuola e nell'università. Quando il suffragio universale ha consentito a tutti gli italiani di scegliere i propri legislatori restavano ancora moltissimi gli analfabeti ( nel 1951 la popolazione oltre i 14 anni senza licenza elementare era ancora del 60%).
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: un paese che arriva tardi alla rivoluzione industriale e in cui gli italiani analfabeti di ritorno sono esposti alla suggestione delle immagini televisive con pochi strumenti per coltivare alternative. Ecco perché oggi i nostri consumi culturali sono bassi in confronto a quelli europei, salvo la televisione. Mi auguro che i giovani di oggi - assai più internazionali dei loro genitori - sappiano cogliere la cultura come investimento decisivo per la crescita di un paese, non solo nella lettura dei libri o nella musica, nelle mostre o nel teatro ma anche dal punto di vista civile, sociale ed economico. Così come seppero coglierlo i nostri padri costituenti quando scrissero che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica»nell'articolo 9 della nostra bella e, mi auguro anche essa un giorno, centociquantenaria Costituzione. Giuseppe Laterza

RESPONSABILITÀ CIVILE
FRANCESCO MICHELI – Finanziere
Come diventare eredi intelligenti

Per nostra fortuna il compito storico di "fare gli italiani" aveva alle spalle, nel 1861, qualche secolo di letteratura dal Petrarca al Manzoni, poi sono arrivati, dopo l'impresa politica di Cavour e Garibaldi, i molto popolari De Amicis e Collodi insieme a Svevo, Verga, Pirandello e più tardi Pasolini e Moravia. Intanto il primato nel creare immaginario è passato al cinema e alla tv. Per il cinema in un santuario con reliquie ci metterei De Sica Sordi Tognazzi Risi Monicelli fino se volete ai cinepanettoni con Boldi ai Caraibi, eh sì perché, piaccia o no, siamo noi gli Italiani di oggi. Per la tv, da salvare è soprattutto la prima televisione, quella Rai del terzo quarto del secolo scorso. Ha "fatto gli italiani" la Tv degli agricoltori della domenica mattina, il viaggio sul Po di Soldati, il sabato sera con Walter Chiari, Campanini, Vianello. Insomma la grande tv nazionalpopolare prima dell'ondata di inflazione commerciale, dei turbo telegiornali, dei talk show. Qui entriamo in un altro capitolo dell'immaginario, quello del "disfare gli italiani" e nell'omologarli con gli outlet e Aiazzone. Separerei dunque la cultura che unisce gli italiani, che fa coesione in primo luogo linguistica, da quella che li frammenta e omogeneizza al mercato globale. Senza buttare l'Italia dei dialetti, che ha la sua grandezza nazionale, da Porta a Eduardo.
Ma la cultura è importante ovviamente non solo per tenere insieme gli italiani , "farli", ma anche per definire, per "fare" il posto dell'Italia nel mondo. E qui dobbiamo finalmente diventare degli "eredi intelligenti. Se sei erede hai una fortuna, ma anche una responsabilità, enorme. Ed è il nostro caso. E il nostro posto nel mondo dipende da quel che accade a Pompei, dentro e intorno agli Uffizi, in piazza San Marco, alla Scala. Abbiamo dei compiti e delle chances. La nostra crescita non tornerà mai ai livelli del miracolo, purtroppo. Ma possiamo, dobbiamo beneficiare della crescita del resto del mondo, in India, in Cina, nell'Europa dell'Est, in Brasile. Il "sogno italiano" non è solo per noi, è un sogno che attraversa le notti in tutto il mondo. Girare in Vespa (ehm ehm, c'è anche il design, la moda e l'industria, vero?) ai Fori imperiali e fermarsi a giocare davanti alla Bocca della verità con Audrey Hepburn è un sogno che attraversa milioni di teste sul pianeta. In termini di conseguenze economiche, ha la stessa potenza di fuoco di Google e Facebook! Ma per passare dalla potenza all'atto ci vogliono università, scuole professionali, software, strade pulite, servizi, treni e governi funzionanti. Meno rumori e più lavoro a testa bassa o, come diceva Flaiano, passare dalla politica delle inaugurazioni a quella della manutenzioni.

STRANIERO IN PATRIA
TIM PARKS - Scrittore
Tirate subito fuori le carte d'identià

Non è compito della cultura unire un paese, però è proprio questo che è stato chiesto alla letteratura italiana. Ahimè, quando nasce da uno scopo politico, anche nobile, un'opera d'arte tende più a dividere che a unire. La cultura italiana degli ultimi 150 anni ha creato opere splendide che tendono ad essere letti per la loro valenza politica piuttosto che estetica. Mia figlia torna dalla scuola dicendomi che le novelle di Verga sono una denuncia delle condizioni di vita della classe contadina, piuttosto che un modo magistrale per dare forma narrativa alla vita. Il bellissimo mosaico "Lavoro fascista" di Sironi languisce a Palazzo dei Giornali visto da nessuno, grazie probabilmente a suo titolo scomodo. Stiamo vivendo un bivio fondamentale nella produzione artistica. E' cambiato il rapporto fra pubblico e artista, che non lavora più solo pensando solo al pubblico del paese d'origine. Sempre di più siamo cittadini nel mondo, piuttosto che italiani o inglesi. E' una situazione complessa, frammentata, senza soluzione di continuità fra Italia e paesi stranieri: si è sempre più spesso esposti a sollecitazioni che vengono dall'estero, le quali, però, ci fanno diventare anche più consapevoli della nostra identità. E' difficile pronosticare quale sarà il ruolo della cultura in Italia nei prossimi 20 anni, per non parlare dei prossimi 150: di certo, emergeranno più strati di identità – locale, nazionale, internazionale - perché questo fenomeno fa parte della modernità.

PERIFERIA
FRANCESCO PICCOLO - Scrittore
I provinciali saranno i veri protagonisti

Mi piace pensare che l'Italia sia stata unita dalle sue province. Una linfa vitale, propulsiva, mai assopita. Un esercito di provinciali che scopre con ingenuità e impazienza una generica voglia di esprimersi. Gente che poi è andata a vivere a Roma, Milano, Torino e Napoli, e lì ha messo in moto il sapere e il talento e ha costruito insieme a tutti gli altri provinciali, la cultura di questo paese. Non c'è spazio per i nomi, sarebbero troppi, nella letteratura, nel cinema, nell'arte, nelle idee (perfino nella politica). Penso all'Italia unita come vista dall'alto, e si vede nel corso di un secolo e mezzo un movimento centripeto di persone che si muovono da tutte le parti per occupare le grandi città – e qualche volta qualcuno rimane anche a casa, e spinge verso il centro soltanto le opere. Ma le persone e le opere si tirano dietro la loro provenienza, tutto lo specifico mondo dove sono nati e cresciuti. E un mondo piccolo incontra un altro e un altro e un altro, si confonde, e prende vigore.
Se devo pensare al futuro culturale di questo paese, continuo a immaginarlo così: la facilità di circolazione delle idee può fortificarlo, modificarlo ma non corromperlo.

MUSICA
MAURIZIO POLLINI - Pianista
150 anni dentro il mio pianoforte

Quando si parla di musica e identità di nazione, all'Italia si associano i cori verdiani, il teatro risorgimentale, le opere dei nostri compositori dell'Ottocento, molto spesso segnate da ideali patriottici. Ma l'identità musicale italiana non abita solo qui. La storia del pianoforte, ad esempio, sia per la sua definizione, come strumento, sia per un suo importante repertorio, consolidatosi negli ultimi secoli, può dirsi con buone ragioni un elemento della cultura italiana.
Bartolomeo Cristofori, padovano, fu l'inventore del pianforte, creato sostituendo i martelletti ai tradizionali plettri, che su clavicembali e spinette pizzicavano le corde. Ma accanto allo strumento abbiamo un nostro repertorio, che parte dagli Studi e dalle Sonate di Muzio Clementi, già pre-beethoveniane nel carattere, e che Horowitz amava particolarmente. Dovrei citare prima di lui Domenico Scarlatti, geniale, le cui Sonate suonano in modo straordinario anche sul pianoforte. Poi Gioachino Rossini, con le sue ultime composizioni: quando chiuse col teatro, ci regalò la voce particolare dei suoi "Peccati di vecchiaia", come lui stesso volle chiamare queste raccolte.
Arriviamo a Ferruccio Busoni, grande pianista e compositore. E siamo al Novecento, all'arcata che va da Dallapiccola a Berio e Sciarrino, passando per Nono, Manzoni, Donatoni, Bussotti. Quanto agli interpreti, basta pronunciare un nome: Arturo Benedetti Michelangeli.

EMIGRAZIONE
SILVIA AVALLONE – Scrittrice
Sono una ragazza degli anni Sessanta

L'appuntamento dei 150 anni non mi lascia indifferente, ma credo sia soprattutto l'occasione per fare una riflessione in parte amara. Vivo in una città universitaria e mi accorgo tutti i giorni che una vera unità, forte e condivisa nel paese, ancora non è stata raggiunta. È l'occasione per rilanciare la sfida. Le differenze sono ancora molto forti e la mia generazione si trova di fronte parecchie sconfitte. Dobbiamo reinventarci un'idea di Italia. Quando penso all'unità del paese, penso allo sbarco dei Mille, come a un atto fondativo quasi mitologico dell'Italia, e poi penso all'esperienza della guerra, della resistenza dove tutto diventa reale, crudo e concreto. La mia stagione culturale di riferimento, dal punto di vista della produzione letteraria e cinematografica, è quella degli anni Sessanta, del boom economico post ricostruzione. L'Italia era appena rinata e la letteratura era impegnata a livello civile, aveva le mani in pasta nella società. Penso a La ragazza di Bube di Carlo Cassola, che mette in luce i nodi irrisolti che ci portiamo dietro. Penso a Pasolini, a Beppe Fenoglio ed anche ai Quaderni dal Carcere di Antonio Gramsci, che vanno riletti per tornare a riflettere sulle differenze tra Nord e Sud. Penso a quando la cultura italiana si esprimeva attraverso i film di Fellini, ai tanti intellettuali di allora. E non attraverso il piccolo schermo, attraverso qualche presentatore o personaggio televisivo. Ora stiamo facendo i conti con il fallimento degli anni Ottanta e Novanta. La mia generazione vive con molta insofferenza anche gli eccessi di ideologia, figli degli Anni di piombo, che perdevano di vista la realtà delle cose. La stagione a cui faccio riferimento, invece, parlava a tutti e tirava fuori i problemi del presente, attraverso una comprensione realistica di come andavano le cose. Credo nella funzione informativa della cultura, per ricostruire le coscienze. Oggi è ancora una sfida possibile.

LO SPORT
ARRIGO SACCHI - Allenatore
Un secolo e mezzo colorati in azzurro

Lo sport è cultura ed è stato un veicolo importante per avvicinare nei 150 anni di storia d'Italia persone lontane geograficamente e anche culturalmente. E lo è tuttora: noi appendiamo la bandiera italiana solo nei giorni dei Mondiali. In quei periodi siamo davvero uniti. Lo sport è un cardine della società: prepara alla vita, all'agone, fa crescere l'autostima e previene la depressione. Il moto è un doping naturale che si sublima nelle grandi prestazioni, nei personaggi che hanno segnato la storia: Coppi, Bartali, Berruti, Pietrangeli, Tomba, la Juve del quinquennio, l'Inter degli anni Sessanta e il Milan.
Lo spettacolo sportivo manterrà la sua capacità attrattiva e la sua forza unificante se sarà capace di evolvere, sperimentare, innovare. In particolare, è necessaro un rinnovamento generazionale: il cuore del futuro sono i settori giovanili. Viviamo nella globalità e nell'intensità: che senso ha uno sport coerente con la lentezza e solo italiano?

SOLIDARIETÀ
ANDREA RICCARDI - Comunità di Sant'Egidio
Alla Borsa valori del bene comune

Siamo in pieno divorzio tra cultura e politica (e cresce a dismisura l'osmosi tra questa e i media). Idee, visioni sembrano poco influenti. Le risse invece attraggono, ma presto si dimenticano. Aveva ragione Wojtyla poeta: "l'uomo soffre soprattutto per mancanza di visione". Si sente, nella celebrazione dei 150 anni, la pesante incertezza verso il futuro, che ci fa timidi nel dire cos'è l'Italia. Mancano visioni. Però, si può uscire dalla condizione d'incertezza e silenzio sull'Italia che compie 150 anni, la sua identità e il suo futuro. Ma bisogna capire da dove veniamo. La storia, nel mondo globale, è utile come l'inglese per chi viaggia (senza cui ci si perde). La storia mostra che l'Italia è stata sempre un paese plurale, talvolta scomposto. Lo scriveva Prezzolini per i 50 anni del paese nel 1911. Tuttavia, per un secolo e mezzo, l'Italia è stata una comunità di destino, sofferenze, conquiste che hanno cambiato la vita. Malgrado l'innato individualismo e la fatica a fare sistema, abbiamo sentito un futuro in comune. C'è stata una grandezza degli italiani nei momenti duri (la seconda guerra mondiale o la ricostruzione del dopoguerra). Abbiamo materiali per ricostruire un'identità comune. La sfida oggi (alla cultura) è mostrare che, se l'Italia va in frantumi, non c'è futuro in un mondo globale. La cultura fa ragionare al di là delle parole gridate. Poi dipende dagli italiani.

EMIGRAZIONE
KARIMA MOUAL - Giornalista
Le nostre storie e la nostra storia

La cultura italiana come l'abbiamo conosciuta negli ultimi 150 anni rappresenta ormai un lontano passato? E' la gloria che è riuscita a unificare e a unificarsi con la forza dei suoi uomini e delle sue donne ma che non appartiene più al nostro tempo? O invece e' ora che venga integrata, che serva da stimolo, non da cuscino morbido e soffice sul quale ci siamo adagiati per lungo tempo, quasi come dovessimo vivere in eterno di una cospicua rendita? Continuare a vivere delle glorie altrui solo perché rappresentano i nostri padri, rischia infatti di impigrirci e ci può bloccare per intere generazioni. Nel prossimo secolo, e per i nostri 150 anni a venire, bisogna rimboccarsi le maniche, perché l'Italia sarà anche quella dei 10 milioni di immigrati , sarà Europa e nord'africa , e chissà – permettiamoci un paradosso - che un giorno non avrà un governatore cinese o turco. Che quell'orgoglio storico non diventi un albero gigante sotto la cui ombra non possa crescere nulla, pur se quell'orgoglio della nostra cultura dovremmo portarlo con noi: Dante e il suo mito civile nel risorgimento, Giuseppe Verdi, il realismo spietato del finto cinico Monicelli (quanto è ancora attuale l'armata brancaleone!), la sublime arte di Fellini. La cultura italiana è nel mondo e lo sarà anche nel prossimo secolo. Ma l'Italia per rilanciarsi e riproporsi dovrà imparare a nuotare nel mare incognito. Dovrà pensarsi non più come l'Italia nell'Italia, ma come l'Italia nel mondo. Dovrà sapersi immergere a Casablanca o ad Ankara. Dovrà pensarsi in quel Mediterraneo, dove ponte strategico tra le culture. Dovrà navigare su twitter e youtube. Dovrà riprovare l'ebbrezza di cosa significa coraggio e curiosità. Dovrà contaminarsi, arricchirsi, irrorarsi di nuova vita e nuove intelligenze. Gaber con rabbia e ironia cantava: io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono. Fabri Fibra con la sua aggressività da rapper, canta " do you speak English", voglio andare in Inghilterra. In Inghilterra sei al verde avrai un sussidio, In Italia sei al verde io non ti invidio. In Italia sei gay ti sfotte la gente, In Inghilterra sei gay ti fanno dirigente. Due generazioni che ancora rappresentano l'insofferenza nell'essere italiani. Lasciamoci alle spalle la vecchia Italia, per cantare: io mi sento Italiano e per fortuna lo sono.

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