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Questo articolo è stato pubblicato il 25 giugno 2013 alle ore 07:08.

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INTERVISTATORE
Come ce l'avevi l'opportunità?
MONDA
Perché avevo sposato un'americana... Jacquie è giamaicana però ha il passaporto americano, quindi quando ci siamo sposati ho fatto il passaporto americano. Non avevo una lira. Io nel 1990 faccio un film che si chiama Dicembre, il film viene presentato a Venezia alla settimana della critica, ottiene delle buone, a volte anche delle ottime recensioni, e un pessimo risultato al box office, incassa poche decine di milioni, un disastro, nonostante un buon riconoscimento. Io cerco a quel punto di fare un altro film.

INTERVISTATORE
Il tuo sogno a quel punto era di fare cinema?
MONDA
Era proprio il mio progetto, quello che credevo sarebbe diventata la mia vita. Io sono da sempre innamorato della cultura ebraica, tant'è che nel 1985-1987 – è in quell'occasione che conosco Jacquie – faccio un documentario sulla cultura ebraica per Raitre: Oltre New York. Viaggio nella cultura ebraica americana. Intervisto tante persone che negli anni mi sono diventate amiche o conoscenti: Philip Roth (1), che rifiuta l'intervista però lo conosco quella volta, Saul Bellow (2) mi dà l'intervista, Arthur Miller (3), di tutti questi quello di cui sono diventato – forse – amico è un po' troppo, ma veniva a cena... Li conosco tutti in questa occasione e tra questi intervisto Isaac Singer (4), forse il più grande di tutti questi, gigante vero, uno scrittore che io considero tra i più grandi di sempre. Io mi innamoro di un suo racconto che opziono, che si chiama Taibele e il suo demone e trovo un produttore, che oggi è diventato il numero uno di Cinecittà, Roberto Cicutto, e cerco di convincerlo a fare il film in America, perché l'unica cosa che ho apportato come cambiamento rispetto al lavoro di Singer è che lo ambiento a New York oggi, ma è la stessa storia, la storia di una simple mind, di un'idiota nel senso più nobile del termine, che viene sedotta da uno che le dice: «Son diavolo» ed è la storia d'amore di questi due... Nel romanzo che ho scritto lo scorso anno L'America non esiste [Mondadori 2012] c'è una storia un po' simile, io lo rivelo, c'è questa seduzione di una molto spirituale, considerata un'idiota da tutti, di uno che non passa per diavolo però la seduce in una maniera molto particolare... Tanto m'è rimasta dentro quella storia... Comunque, io vengo qui per fare questo film, già con due figlie di un anno, io e Jacquie non avevamo un lavoro, non avevamo una lira, Jacquie si impiegò all'Italian Trade Commission, l'Istituto del Commercio Estero, io cercai lavoro all'università, dove mi vedi in questo momento... Venni a fare un'interview qui alla NY University e mi presero come adjunct assistant, l'ultima ruota del carro...

INTERVISTATORE
Sulla base di che cosa?
MONDA
Avevo girato un film, avevo fatto vedere molte pubblicazioni, mi hanno detto: «Li faresti dei corsi?». Così è come funziona l'America. Ovviamente devi saper presentarti molto bene, devi far vedere la tua mercanzia: io ho fatto vedere tutte le recensioni, ho detto quanto potevo portare di buono... Bisogna fare lobbying a favore di se stessi. Comunque ci credettero e mi diedero questa opportunità, e io l'ho presa.
INTERVISTATORE
Quindi da allora stai qui?
MONDA
Dal 1994. Che cosa succede? Non avevamo una lira perché il mio primo contratto qui era di 600 o 700 dollari al mese, il contratto di Jacquie era meno di 2mila, 1.600-1.700; insomma in due avevamo 2.500 dollari ed eravamo in quattro. Anzi, avevamo pure la donna di servizio di mia madre che era venuta da noi a fare la nanny, pagata dall'Italia da lei perché non ce la potevamo permettere. Quindi così vivevamo... al che cosa abbiamo fatto?

INTERVISTATORE
Oddio, questo miscuglio di borghesia e lastrico...
MONDA
Sì, totale… (ride, ndr) Allora io mi ricordo della famosa casa di quattordici anni prima: richiamo questo signore il quale si rivela ancora l'amico straordinario che era stato, e mi dice: «Antonio, io ti do una casa e puoi stare lì fin quando ne hai bisogno». Dopo due mesi però la casa era molto... la casa era in un posto bellissimo... sessantatré tra Madison e Park, nel cuore della città, East Side, però era anche piccolissima: un salotto con un bagnetto e un angolo cucina e noi vivevamo in cinque...
INTERVISTATORE
In Italia dove vivevate?
MONDA
Ai Parioli, da mia madre. Da sposati avevamo una casa in affitto in via del Boschetto, ma vengo da quel mondo lì, dai Parioli. Negli ultimi mesi prima di trasferirci in America abbiamo vissuto quasi un anno da mia madre e poi siamo venuti qua. Dopo pochi mesi io non riesco a sopravvivere in queste condizioni, a vivere tutti in una stanza, perciò vado dal mio amico e gli faccio questa proposta, gli dico: «Senti, mi daresti un secondo appartamento? In cambio io lavoro, ti faccio da super», che è una via di mezzo tra il portiere e il factotum. Perché lui era proprietario del palazzo, ma era andato via. Era un palazzo piccolo di dieci appartamenti più uno studio medico, quindi avevo dieci persone da gestire, anzi nove perché poi mi ha dato due appartamenti.

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