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Questo articolo è stato pubblicato il 25 febbraio 2014 alle ore 07:40.
L'ultima modifica è del 25 febbraio 2014 alle ore 15:43.

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Quella trasmissione non è il mio genere e il contesto è molto poco adatto: io non amo il calcio per niente, il gioco lo amo da morire ma il modo in cui viene commentato in trasmissione a me non piace. Figurati, dopo che hai a che fare col mondo americano, dover arrivare in quel contesto è impraticabile. Io ho ricevuto una serie di telefonate di politica... Cioè c'è gente che mi ha telefonato dicendo: «Allora ora ti do la mappatura politica di Sky, questo è in quota questo...». Io l'ho interrotto e ho detto: «Io voglio parlare dei tiri di LeBron, lei di cos'è che mi vuole parlare esattamente?». E i giorni successivi addirittura un sms anonimo: «Calcio = voti, attento a quel che dici». Eeh?? No no, grazie... Io il martedì decido che per me è finita lì, il giovedì vado da Guadagnini, mio direttore dell'epoca, dicendogli: «Guarda, per me finisce qua».
Io non sopporto il buonismo del calcio, un sacco di cose non si dicono, non si possono dire e allora che cosa stai lì a fare... E se provi a fare qualcosa di diverso è un problema perché stai facendo qualcosa di diverso, quindi non è il mio posto, il mio posto, se c'è nel calcio, è provare a fare il narratore...

Cos'ha di speciale il calcio argentino per te?
Il calcio argentino secondo me è il calcio. Se vai là... Non lo so, i sudamericani guardano il calcio in un modo diverso dal resto del mondo, lo raccontano diverso, lo giocano diverso, lo vivono diverso e sono quelli che dicono: «Grazie, voi ce l'avete portato e adesso, a differenza degli altri, facciamo quello che vogliamo noi, il vostro calcio, bello, ma adesso lo giochiamo come lo vogliamo giocare noi, fermiamo il pallone e la tecnica individuale prevarrà sul vostro calcio».
Gli inglesi gli insegnano il calcio perché hanno degli interessi commerciali in quella zona del mondo e quindi i dopolavori delle aziende dove loro compravano la carne, diventano le scuole...

Come i club di tennis sul lago di Como dove andava Gianni Clerici... (17)
Esattamente così, tutte le squadre hanno un nome inglese che qualche volta spagnolizzano con Nacional, River Plate, Boca Juniors (18), Newell's Old Boys, Racing... Però loro ti dicono: «Perfetto, ma noi lo facciamo diventare un'altra cosa», cioè questa idea della palla che deve andare sempre dritta per noi non esiste, noi la palla la fermiamo: e inventano un altro calcio basato sull'idea che il pallone si fermi e la tecnica individuale faccia la differenza... Quando l'Uruguay arriva alle Olimpiadi del 1924 in Europa, gli europei non hanno mai visto giocare a calcio così, questi qua scherzano... Hanno tutti nomi spagnoli o italiani e gli europei dicono: «Ma che cosa fanno questi? Non ti hanno fatto vedere la palla». Vincono le Olimpiadi del 1924, del 1928 e il Mondiale del 1930. Quindi loro riducono il campo in un altro modo rispetto agli inglesi e realmente il calcio sono loro, sono loro che creano il calcio come lo giochiamo oggi, tra il 1920 e il 1930, quando dominano completamente avendo ribaltato la linea inglese del gioco.

Che era a dieci uomini tutti buttati in avanti.
E la palla lunga: loro la fermano... È una metafora che i nuovi inglesi, gli americani, riprendono inventando uno sport, che in realtà è di origine inglese, basato sulla conquista del campo, che è il football americano... Football, rugby e calcio nascono assieme tutti e tre in Inghilterra. La metafora della conquista del territorio. Sport dove la palla va davanti. Ai sudamericani questo gioco non interessa, perché non c'è abbastanza cura.

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