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Questo articolo è stato pubblicato il 04 marzo 2010 alle ore 14:04.
L'ultima modifica è del 19 maggio 2010 alle ore 17:42.

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La prima vita di Andrea Rapaccini, 48 anni, è una carriera di successo ai vertici della consulenza aziendale. Laurea in Bocconi, anni in Unilever, McKinsey e Value Partners, di cui nel 1993 è uno dei fondatori. Potremmo riassumerla così, facendo un po' torto alla completezza: una perfetta, dignitosa, ben retribuita vita da business consultant. E di tagliatore di teste. «Li chiamavamo progetti di rightsizing - spiega -. Nessuno, fossimo noi consulenti o i direttori del personale delle aziende interessate, è mai andato a guardare alle storie e delle possibilità di riqualificazione delle persone». Si trattava di metterle in mobilità. Business as usual.

Il fatto è che la cosa a Rapaccini ha cominciato a «pesare», parola sua. Tanto che dal 2000 è ripartito su nuove basi. Con soci che, come lui, arrivavano da Andersen, McKinsey, Bain & Company, Mitchell Madison ha sviluppato MBS consulting. Che, a occhio, fa più o meno le solite cose: «Assistenza continuativa alle fasi di cambiamento aziendale; business development, consulenza di direzione». L'indizio che porta in altra direzione sta nel nel claim della nuova società di consulenza: management for business sustainability.

Un cambio di passo. È qui che inizia la seconda vita di Rapaccini. Dallo sviluppo sostenibile. E, ultimamente, anche da una nuova Associazione no profit che si chiama make a change . Basta un clic per capire in fretta la filosofia. Due scritte che si incrociano: profit e no profit. Due uomini, un manager e un clochard che si danno la mano e le scritte che si ricompongono in «make a change». Qual è il cambiamento di cui si parla? «Andare oltre gli steccati che dividono i due mondi» sintetizza Rapaccini. Da un lato l'orogoglio di chiamarsi fuori dalle logiche del profitto che spesso (avvertenza per i commenti: non sempre) caratterizza il not for profit e a volte si trasforma in snobismo, in incomunicabilità, perfino in lotte intestine sulla purezza meglio certificata rispetto al sistema, «il mercato come male assoluto da cui noi buoni siamo immuni». Dall'altra la logica del guadagno per il guadagno. «In realtà c'è una terza via - dice Rapaccini - mescolare i due piani». Innanzitutto ibridando il profit.

Sviluppo sostenibile. Make a change infatti è innanzitutto un incubatore di progetti di social business sul troncone del profit. «Il social business - continua Rapaccini - ha il vantaggio di essere meno invasivo rispetto ad una scelta radicale di CSR che coinvolge tutta l'azienda. Ai manager che contattiamo diciamo: all'interno del tuo modello di business ci sono probabilmente aree che puoi gestire attraverso una impresa sociale. Magari affiancando ai servizi "core" una tipologia a più alto tasso di servizio. O addirittura facendo spin off di queste aree e trasformandole in nuove piccole imprese».

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