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Questo articolo è stato pubblicato il 19 gennaio 2011 alle ore 08:07.

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Il sondaggio: Steve Jobs deve comunicare di più sul suo stato di salute?

C'è manager e manager. C'è l'amministratore delegato (seppure abile e capace) fungibile e quello, al contrario, insostituibile. Il ceo che si limita a gestire l'azienda e quello che "se-abbandona-sono-guai": il titolo crolla in Borsa e gli investitori finiscono nel panico. Il fenomeno è sotto gli occhi di tutti in questi giorni. Dopo l'annuncio dei nuovi problemi di salute per Steve Jobs, a Wall Street la sua "mela morsicata" ha perso molto terreno (ieri ha chiuso nuovamente in calo dell'1,6%). E sì che, a differenza delle due volte precedenti (la terribile diagnosi del tumore al pancreas risale al 2003), la società è preparata ad affrontare un cambio al vertice.

Ma, evidentemente, non basta. Ci sono amministratori delegati più amministratori delegati degli altri; ceo che costituiscono l' essenza stessa dell'azienda. «In realtà si tratta di veri e propri leader e non semplicemente di manager», sottolinea Carlo Alberto Carnevale Maffé, docente di strategia aziendale alla Bocconi.

I leader dell'hi-tech americano
Nel mondo dell' hi-tech a stelle e strisce, di questi leader se ne scovano diversi. Soprattutto, se si guarda al secolo precedente. Fino a quando è stato in sella, Bill Gates rientrava a pieno titolo nella categoria: la sua Microsoft, nel periodo di crescita più tumultuosa, avrebbe reagito male a un eventuale abbandono. «Anche se - tiene a precisare il vecchio "lupo" del venture capital italiano, Elserino Piol - era più un leader operativo, non un "visionario" alla Jobs. Gates è stato bravo a posizionare sul mercato il suo gruppo, a gestire il business; ma non era nel cuore dello sviluppo tecnologico». E anche quest'aspetto, evidentemente, ha fatto sì che il passaggio di testimone con Steve Ballmer non sia stato vissuto in maniera traumatica. Cosa che, al contrario, non potrebbe accadere se Larry Ellison decidesse di lasciare la sua Oracle.

Qualcosa di più di un semplice manager
Leader, manager difficilmente sostituibili, insomma. Nel freddo linguaggio della teoria aziendale: asset infungibili. Già, a dirsi così sembra facile: ma quali le caratteristiche per trasformare un ceo in leader? «La risposta richiede una premessa - dice Piol -. Da una parte ci sone le aziende, quali l'Ibm, dove l'organizzazione e i processi di gestione prevalgono rispetto alla volontà del singolo. Qui, il top manager ha un peso minore ed è, per così dire, più sostituibile. Dall'altra, invece, ci sono società meno strutturate nelle quali l'immagine, le strategie possono essere fortemente influenzate dal singolo. È chiaro che, in queste situazioni, il management può diventare una vera e propria stella polare».

«In particolare- fa da eco Carnevale Maffè - ciò accade quando l'ad ha un ruolo di ambasciatore e garante del gruppo verso l'esterno. Pensiamo, per esempio, ai computer. Sono prodotti cosiddetti "esperienziali": cioè, ne abbiamo certezza solo dopo averli acquisiti e usati. Ebbene, in questi casi, l'autorevolezza del ceo, il suo metterci la faccia creano un rapporto di fiducia con il consumatore stesso». Jobs in questo è maestro: «Nelle sue presentazioni, di fatto, rassicura il futuro acquirente».

Basta questo per essere leader? «Ovviamente no, sussistono altre caratteristiche. L'essere il fondatore dell'impresa, per esempio, aiuta; così come è essenziale la capacità di scegliere i tempi e i linguaggi più giusti. Bisogna avere l'abilità di diventare popolari». Senza dimenticare, infine, la caratteristica «propria dei leader di riuscire, allo stesso tempo, a rassicurare e sorprendere. E questo sia all'interno che all'esterno dell'azienda».

ll sondaggio: Steve Jobs deve comunicare di più sul suo stato di salute?

Le aziende italiane

Il che può avvenire, anche se con più difficoltà, in gruppi già strutturati. L'esempio arriva da Sergio Marchionne, che «per la Fiat non è solo un manager». Al di là delle polemiche su come ha impostato le relazioni industriali in Italia, Mr Pullover è considerato dagli operatori l'attuale vera anima del gruppo automobilistico». «Il suo eventuale abbandono -conferma Luca Ramponi, direttore investimenti di Aureo gestioni sgr - darebbe seri problemi al titolo, sia nel breve sia nel lungo periodo. In una situazione di grave crisi, è stato per esempio abile a cogliere l'opportunità di mettere un piede negli Stati Uniti; cioè in una delle economie dove verrà costruita e sviluppata l'auto del futuro. Si tratta di una mossa che lo ha connotato come leader e non come semplice manager». Senza dimenticare, poi, la sua abilità a «corteggiare i mercati, soprattutto quelli finanziari, e dialogare con gli stakeholder».

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