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Questo articolo è stato pubblicato il 10 marzo 2011 alle ore 17:32.

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CAMBRIDGE – Non c’è bisogno di trascorrere lunghi periodi nei paesi in via di sviluppo per vedere che le loro economie sono un miscuglio di capacità produttiva ed improduttività, ovvero del cosiddetto primo e del terzo mondo. Nelle aree moderne e più produttive dell’economia, la produttività, sebbene ancora tendenzialmente ridotta, è molto più vicina alle percentuali che si registrano nei paesi avanzati.

Questo dualismo è uno dei principi più antichi e basilari dello sviluppo economico, teorizzato in primis negli anni ’50 dall’economista olandese, J.H. Boeke, che fu ispirato dalle sue esperienze in Indonesia. Boeke credeva nella separazione netta tra lo stile capitalista e moderno del sistema economico prevalente in occidente ed il modello pre-capitalista e tradizionale predominante nelle aree al tempo definite come sottosviluppate. Sebbene le pratiche industriali moderne si fossero già insinuate nelle società sottosviluppate, secondo l’economista danese sarebbero difficilmente riuscite ad entrare a far parte integrante di queste società e a trasformarle radicalmente.

Gli economisti contemporanei collegano immediatamente il dualismo economico al premio Nobel Sir W. Arthur Lewis, noto per aver rigirato l’idea di Boeke sostenendo che il passaggio della forza lavoro dall’agricoltura tradizionale all’industria moderna fosse il perno dello sviluppo economico. Per Lewis la coesistenza delle metodologie tradizionali e quelle moderne è ciò che rende possibile lo sviluppo.

Per fare un esempio estremo, la produttività della forza lavoro nel settore minerario in Malawi è pari alla produttività totale dell’economia statunitense. Se il Malawi potesse impiegare tutti i suoi lavoratori nelle miniere, sarebbe ricco tanto quanto gli Stati Uniti! Ovviamente, il settore minerario non è in grado di assorbire un numero così elevato di lavoratori, pertanto la forza lavoro rimanente deve necessariamente cercare un lavoro in settori meno produttivi dell’economia.

La globalizzazione ha sempre più accentuato la natura dualistica delle società in via di sviluppo. Alcuni settori delle loro economie, tra cui le esportazioni, l’alta finanza, ed i grandi magazzini, hanno avuto un aumento consistente di produttività entrando nei mercati globali ed avendo accesso alle tecnologie di frontiera. Altri settori non hanno purtroppo avuto le stesse opportunità, il che ha portato ad un ampliamento del divario con i settori globalizzati.

Sebbene questi divari risultino problematici, rappresentano, come sosteneva Lewis, un motore potenziale per la crescita economica. Il trucco sta nell’assicurarsi che la struttura dell’economia venga modificata nel modo giusto passando dai settori a bassa produttività a quelli ad alta produttività. Nelle economie di successo, come la Cina e l’India, la transizione dei lavoratori dall’agricoltura tradizionale al settore manifatturiero ed ai servizi moderni rappresenta una parte sostanziale della crescita di produttività complessiva, proprio come aveva previsto Lewis.

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