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Questo articolo è stato pubblicato il 18 marzo 2011 alle ore 09:09.

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«Di fronte al dilagare delle proteste sociali e alle rivolte in diversi paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, l'amministrazione americana si trova in una posizione obiettivamente difficile, perché cerca di sostenere il vento delle riforme democratiche e di promuovere lo sviluppo economico, ma senza provocare la bufera della rivoluzione».

Con questo esordio è cominciata l'intervista al Sole 24 Ore.com di G. John Ikenberry, docente a Princeton e in passato all'università della Pennsylvania e alla Georgetown di Washington, in questi giorni a Milano come "visiting professor" nei seminari dell'Aseri (Alta scuola di economia e relazioni internazionali) in Università Cattolica.

Ikenberry è esponente della scuola "liberal" delle relazioni internazionali, autore di vari saggi e di libri come «After the Victory» (2001), pubblicato in italiano dalle edizioni Vita e Pensiero («Dopo la vittoria»), e «Liberal Order and Imperial Ambition» uscito nel 2006 e tradotto in italiano ancora da Vita e Pensiero con il titolo «Il dilemma dell'egemone – Gli Stati Uniti tra ordine liberale e tentazione imperiale». Uscirà invece in maggio nell'originale inglese (a cura della Princeton University Press) il suo nuovo libro «Liberal Leviathan: The Origins, Crisis, and Transformation of the American System». Attivo nei maggiori think-tank americani, Ikenberry ha maturato anche una significativa esperienza al Dipartimento di stato nella prima metà degli anni '90. Dai suoi scritti si evince la tesi che uno stato egemone – come gli Usa dopo la vittoria in una "major war" (la fine della Seconda guerra mondiale nel 1945 oppure la caduta del Muro di Berlino nel 1989) – può gestire meglio il suo potere in un contesto di cooperazione e di regole democratiche condivise, accettando il ruolo delle istituzioni internazionali e l'interdipendenza economica.

Il presidente Obama ha inviato la segretaria di Stato Hillary Clinton in
Egitto, paese-chiave per il mondo arabo, che sta vivendo la delicata transizione del dopo-Mubarak, mentre in Bahrein veniva proclamato il coprifuoco nella capitale Manama, dove sbarcavano 1.500 soldati sauditi. Secondo lei, come si muove la diplomazia Usa nella regione?
La strategia americana ha l'obiettivo di persuadere i governi del Nord Africa e del Medio Oriente a condividere i valori democratici perché dovunque nel mondo, ai cittadini vanno garantiti i diritti fondamentali, come la libertà di espressione, leggi uguali per tutti, un'equa amministrazione pubblica. D'altra parte gli Usa, come superpotenza globale, mantengono dei legami anche verso stati governati in modo autocratico e non possono rinunciare agli impegni di sicurezza, senza compromettere gli interessi americani. Su questa linea, del resto, si era già espresso il presidente Obama nel discorso del giugno 2009 all'università Al-Azhar del Cairo.

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