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Questo articolo è stato pubblicato il 11 aprile 2011 alle ore 15:10.

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BERKELEY – Siamo nel pieno delle conferenze monetarie internazionali. A marzo, i leader nazionali si sono riuniti a Nanjing, in Cina, per dibattere sui tassi di cambio e di interesse. All’inizio di aprile, preminenti teorici ed ex policymaker si sono dati appuntamento a Bretton Woods, nello New Hampshire, nella culla ideologica del Fondo monetario internazionale e del sistema monetario internazionale, che si fonde sul dollaro.

La conferenza di Bretton Woods svoltasi nel 1944 fu segnata da un contrasto tra gli Stati Uniti e il Regno Unito, rappresentati rispettivamente dagli economisti Harry Dexter White e John Maynard Keynes. Il Regno Unito ambiva a un sistema in cui la liquidità globale fosse regolata da un’istituzione multilaterale, mentre gli Usa, spinti da interessi personali, prediligevano un sistema basato sul dollaro.

Considerato il suo immenso potere economico e finanziario, l’America ebbe, come previsto, la meglio. Keynes non riuscì a conferire al Fmi il potere di creare una nuova unità di riserva internazionale in alternativa al dollaro, né tanto meno ad ottenere un accordo sulle misure in grado di spingere i paesi in surplus e in deficit – nonché l’emittente di moneta internazionale e i suoi utilizzatori – a mettersi in regola.

Quest’ultimo fallimento ci perseguita ancora oggi. I paesi che incorrono in surplus esterni cronici, come la Cina, e i paesi le cui valute sono ampiamente utilizzate a livello internazionale, come gli Usa, non sono soggetti alla stessa pressione cui sono sottoposti gli altri paesi per correggere le proprie politiche a fronte di squilibri economici.

I policymaker riunitisi a Nanjing hanno promesso di occuparsi di tale problema. Hanno assegnato al G20 il compito di sviluppare una serie di indicatori in grado di segnalare un eventuale rischio di crisi per qualsiasi paese, inclusi Stati Uniti e Cina. Hanno invocato un processo per cui, in caso di campanello di allarme giallo, il paese in questione sia obbligato a correggere le proprie politiche.

Sfortunatamente, tali indicatori funzionano meglio ex ante, nel riflettere l’ultima crisi, che ex post, nel prevenire la successiva. La natura del rischio finanziario muta costantemente ed è pertanto difficile da predire utilizzando indicatori di tipo backward looking, come quelli ideati dal G20. In ogni caso, l’unico processo in grado di agire su tali indicatori è la peer pressure, ossia la pressione tra pari, che verosimilmente non porterà ad alcun risultato.

L’altra idea politica in voga, che alla fine si rivelerà irrealizzabile, è quella di convertire i fondi del Fmi, noti come diritti speciali di riserva (in sigla Dsp o in inglese Special Drawing Rights), in una valuta internazionale in grado di competere con il dollaro. Il problema è che i Dsp non vengono utilizzati né per fissare transazioni oltrefrontiera né come unità in cui denominare i bond internazionali. Ciò significa che non vi sono mercati privati per i Dsp, e crearli sarebbe un arduo compito.

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