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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2011 alle ore 18:19.

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I repo sono transazioni finanziarie. Le società finanziarie vendono beni (tra cui obbligazioni del Tesoro o titoli immobiliari) in cambio di contanti, con la promessa di riacquistare i beni (o, in sintesi, di fare un repo) generalmente il giorno successivo. Ma le operazioni di compensazione di gran parte del bilancio delle società finanziarie tramite i contanti derivanti dai repo a breve termine mettono a serio rischio di crollo i mercati finanziari con un possibile esaurimento temporaneo dei fondi repo, proprio come è successo nel 2008. E’ stato proprio questo contesto a portare la Bear Stearns, tra le altre, al fallimento nello stesso anno.

I derivati individuali e le transazioni repo sono tutt’altro che nefandi. Presi singolarmente hanno infatti la funzione di trasferire in modo legittimo il rischio ai soggetti più in grado di gestirlo, o di sostenere le holding finanziarie. Ma quando vengono sovrautilizzati in modo sistemico dai principali istituti finanziari, possono portare al crollo del sistema proprio a causa di errori di pianificazione. Persino oggi, il 70% dei debiti delle principali società finanziarie statunitensi comportano prestiti a breve termine, proprio come i repo overnight.

Negli USA, i principali difetti di pianificazione si riscontrano nella legislazione relativa alla bancarotta, che esonera i derivati ed i repo dalle restrizioni imposte sulla bancarotta stessa. Ad esempio, gli investitori che hanno derivati o contratti repo con un istituto finanziario debole hanno prelazione sui beni prima, e alle spese, dei creditori segnando in tal modo il destino dell’istituto che potrebbe invece, con un po’ più di tempo, uscire indenne dalla crisi. Queste corse ai beni sono state la rovina della AIG, della Bear Sterns e di altre aziende durante la crisi finanziaria.

In realtà la situazione è addirittura peggiore, in quanto data la facilità e le diverse modalità con cui gli investitori di derivati e di repo arrivano in cima alla fila dei creditori, è evidente che non hanno alcun incentivo a sostenere l’istituzione di una disciplina del mercato riuscendo infatti a monitorare da vicino le insolvenze dei propri omologhi e dosando con attenzione la propria esposizione alle singole controparti. Riescono, infatti, sempre e comunque, ad essere ripagati.

E’ pur vero che qualcuno deve pur essere il primo in lista. Alcuni operatori finanziari corrono dei rischi maggiori in quanto sono le stesse esenzioni da un’eventuale bancarotta degli operatori dei derivati e dei repo a metterli al primo posto. Di solito, ci si aspetterebbe una spinta per una maggior disciplina del mercato da parte degli altri operatori, ma troppo spesso è il governo statunitense a trovarsi al secondo posto, quale garante degli istituti troppo grandi per fallire, e non detiene quindi la posizione adatta per regolamentare questi mercati su base quotidiana. Non ha, inoltre, una competenza specifica da un punto di vista finanziario, viene spesso incastrato dagli operatori che devono sottostare alle regolamentazioni, e, nelle fasi di trend economico positivo, nessun funzionario è pronto a danneggiare il suo partito.

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