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Questo articolo è stato pubblicato il 30 aprile 2011 alle ore 15:18.

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Carlo Del MistroCarlo Del Mistro

Gli indizi non sono solo nelle nuove aperture o nelle lunghe code di persone in paziente attesa fuori dalle gelaterie. Sono anche nelle biografie di chi si fa imprenditore-gelatiere: giovani, caparbi, a volte laureati in materie che nulla hanno a che fare con questo particolare artigianato.

È un caso che alcuni provengano dall'ambiente della finanza, ma anche questo dà la misura del grande fascino esercitato ancora oggi dall'arte di fare il gelato. A Milano, per esempio, le gelaterie artigianali continuano ad aumentare: nel 2010, secondo i dati dell'Epam, l'Associazione provinciale milanese pubblici esercizi, sono passate da 579 a 618, con un salto del 6,7 per cento.

Scriveva due anni fa il giornalista Paolo Marchi, nella sua "Guida alle migliori gelaterie di Milano", che nel capoluogo lombardo si producono ogni anno 15mila tonnellate di gelato artigianale (74 coni per ogni milanese). Bene, i numeri da allora sono aumentati, ma il fenomeno della proliferazione dei laboratori è generale e diffuso in tutta Italia, dove secondo i dati di Confartigianato ogni anno le famiglie spendono circa 2 miliardi di euro in gelati artigianali (e industriali, però). E i laboratori sono circa 37mila (94mila le persone impiegate), con la Lombardia che ne detiene il record: oltre 6mila. La moda del gelato si è riaccesa, non si è mai spenta, ma forse la crisi ha favorito un settore dove le idee e la qualità vengono premiati: prodotti freschi e zero additivi o conservanti. Poi è vero che alla fantasia non c'è limite, se sono stati inventati 300 gusti di gelato.
Le biografie, dicevamo, sono indicative. Gli eredi di quel Francesco Procopio de' Coltelli di Acitrezza, che a metà del ‘600 a Parigi per primo cominciò a produrre gelato per venderlo al pubblico, facendolo così uscire dalle corti europee (come ricorda un volume uscito negli Usa, "Ice Cream: A Global History"), sono giovani e pieni di inventiva.

Il gelato slow
Sull'onda della naturalità. «Il nostro progetto è partito nel 2003, dopo aver letto un articolo di Carlo Petrini in cui si diceva che non c'è più il gelato di una volta». Guido Martinetti, 35 anni, è uno dei due fondatori della gelateria "Grom". Lui e Federico Grom, 37 anni ed ex analista finanziario, sono partiti da Torino «con un investimento di 30mila euro a testa, per un negozio di 30 metri quadri a piano strada». Oggi inaugurano a Osaka il 52° negozio, il quinto in Giappone dopo i quattro di Tokio. Ma sono presenti anche a Malibu, Parigi e New York (tre negozi). Grande successo e un uno-due (pardon, 52) che ha portato il fatturato a 18 milioni di euro. «Tanto? Dipende dai punti di vista: quattro Autogrill fanno di più». Martinetti si schermisce, ma è appassionato quando racconta la filosofia alla base di "Grom". Per lui, enologo, è una questione di principio, «così come per un buon vino ci vuole l'uva migliore – dice - così per il gelato: solo ingredienti selezionati. Bisogna controllarne l'origine, per offrire un prodotto di qualità».

Martinetti segue personalmente gli acquisti («è importante gestire il percorso di maturazione del frutto: le fragole, ad esempio, le prendo ad aprile nel sud Italia, ma a giugno dalle nostre parti»). La produzione vera e propria avviene a Torino, dove si raccolgono e mescolano le materie prime provenienti dai presidi Slow Food. La miscela liquida viene inviata «a temperatura negativa» in ogni negozio, dove viene lavorata. «Il nostro gelato non contiene emulsionanti, ha quindi meno aria, è meno soffice, e va lavorato al momento del servizio. Ma in questo modo è molto più facile da digerire». Forse quel rimestare nel contenitore cilindrico, la carapina, allunga le code fuori dal negozio, ma nessun cliente pare desistere: funziona forse all'inverso, come una tattica di marketing non voluta? «Può darsi – risponde Martinetti - ma la pubblicità non sempre serve. Noi preferiamo investire nell'agricoltura, come quando nel 2007 abbiamo preso una tenuta biologica a Costigliole d'Asti, 8 ettari poi diventati 15, che fra un mese aprirà al pubblico». Per chi vuol vedere da dove viene il gusto "bio" del gelato "Grom".

Il gelato italiano che nasce all'estero
Altre catene di gelaterie artigianali sono nate all'estero, ad opera di imprenditori italiani. È il caso di "Amorino", che ha aperto il primo negozio nel 2002 nel cuore di Parigi, grazie all'inventiva di due amici reggiani, Paolo Benassi e Cristiano Sereni. Anche qui grande attenzione agli ingredienti e produzione centralizzata. «Guardiamo sempre da vicino la produzione, in modo da essere in grado di garantire il più alto livello di qualità a tutti i clienti». In nove anni Benassi e Sereni hanno aperto più di venti gelaterie nella capitale francese, oltre a quelle in Germania, Inghilterra, Austria. E Milano.

Chi invece non vuole per ora espandersi in altre città, ma continua ad aprire nuovi negozi sempre nella stessa, Londra, è Carlo Del Mistro con "Gelato Mio". Come Benassi e Sereni anche lui è partito dall'estero. Come Federico Grom, anche lui viene dall'ambiente della finanza. Del Mistro è nato 29 anni fa a Sondrio, s'è laureato alla Bocconi, due anni alla McKinsey di Milano, poi l'impiego in Lehman Brothers. Nel 2007 va in aspettativa e si iscrive alla London Business School per un Mba. Lì viene folgorato dal nuovo progetto. «La mia forza spiega – era quella finanziaria, più di quella operativa. Negli ultimi anni ho invece imparato a fare l'imprenditore. Ho passato un anno a studiare la faccenda: ho seguito dei corsi, ho preso contatto con lontani parenti che avevano una gelateria, e mi sono circondato di collaboratori validi. Il gelato è sempre stata la mia passione». Che da passiva s'è fatta attiva, quando nel 2008 ha aperto la prima gelateria in Holland Park Avenue (mentre Lehman crollava).

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