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Questo articolo è stato pubblicato il 21 giugno 2011 alle ore 08:06.

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(Imagoeconomica)(Imagoeconomica)

Quanto vale?
Stimiamo 10 miliardi. Che possiamo destinare a finanziare una riduzione dell'Ires, l'imposta sulle imprese, dal 27,5% a circa il 20%. Perciò mi piace parlare di contributo alla trasparenza e alla crescita. E, poiché ovunque sia allocato il capitale la tassazione deve essere uguale, proponiamo di allineare intorno al 20% anche tutte le rendite finanziarie.

Tra le imposte più invise alle imprese c'è l'Irap.
Difficile abbatterla in modo radicale, ma va riorientata spostando il prelievo dalle imprese labour intensive a quelle capital intensive.

Abbiamo molto parlato di fisco e spesa pubblica, ma l'Assonime ha tra i suoi temi tradizionali quello del mercato e della regolazione. Un primo punto: lei è d'accordo con chi vuole trasferire il listing - l'ammissione alla quotazione in Borsa - alla Consob?
Non siamo contrari. Ma va detto che in questi anni il sistema ha funzionato. Oggi abbiamo 286 società quotate, non sono paragonabili ai numeri di altre piazze finanziarie, ma almeno in questo decennio difficile le tante uscite sono state compensate dalle entrate. Al di là di questo c'è sicuramente il tema del riordino delle autorità di vigilanza sul mercato.

Troppe sovrapposizioni?
Non è solo questo. Vanno razionalizzate in modo da rendere più omogenei i criteri di nomina, omologarne la durata e la composizione, ridefinirne le competenze. In particolare sui servizi pubblici locali siamo all'anno zero.

Tema delicato, soprattutto dopo il referendum.
C'è un forte rischio di tornare indietro. Noi gli dedichiamo un intero quaderno. Vanno riscritte le procedure di affidamento dei servizi.
Sui controlli societari c'è un'irrisolta inadeguatezza dei controlli interni.
Va sicuramente affrontata la questione della sovrapposizione tra il comitato di controllo interno, il collegio sindacale e l'organismo di vigilanza ex legge 231. Vanno distinti meglio, servono controlli efficaci e sanzionabili.

A lei viene riconosciuta una grande esperienza sui temi delle relazioni industriali. Cosa si sente di dire alla Fiat che ipotizza l'uscita da Confindustria?
Parlo come da uomo di impresa e non da presidente Assonime?

Certo.
Dico che non è suo interesse farlo. Il problema è rendere esigibili gli accordi che vengono sottoscritti in fabbrica. Uscire da Confindustria in questo senso non serve. Serve piuttosto sostenere lo sforzo di chi sta lavorando a un'intesa interconfederale sulla praticabilità degli accordi.

Marcegaglia vedrà i sindacati venerdì.
Fa bene. Va fatto ogni sforzo per un accordo condiviso da tutti. Le intese aziendali devono valere erga omnes se c'è una doppia maggioranza, quella delle rappresentanze sindacali e quella della totalità dei lavoratori. In fondo è quello che è successo a Mirafiori. Né più né meno. Ma serve l'accordo interconfederale, confermato poi magari da una legge, che ne garantisca l'esigibilità. È questo che serve alla Fiat, non andarsene dalle sedi associative a cui è legata una parte significativa della sua stessa storia.

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