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Questo articolo è stato pubblicato il 22 luglio 2011 alle ore 08:09.

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Dobbiamo purtroppo riconoscere che la manovra finanziaria, varata con grande rapidità dal Parlamento, non è stata sufficiente a calmare i mercati e a riportare il costo del nostro debito pubblico verso livelli più prossimi a quelli di qualche mese fa. Ma l'attuale livello del tasso d'interesse è insostenibile per il bilancio pubblico. E diverrà presto insostenibile anche per le imprese, che saranno chiamate a pagare un interesse almeno pari a quello pagato dallo Stato. Tutto ciò rischia di avere effetti fortemente negativi per gli investimenti privati, e quindi per la crescita della nostra economia. Si profila il rischio di una spirale dalla quale sarebbe davvero problematico uscire.

È vero che l'attacco speculativo sui titoli italiani rientra nella più generale sfiducia verso paesi dell'Euro con alto debito pubblico e nella debolezza dell'Europa nell'affrontare e risolvere, trattandosi di Paesi relativamente piccoli, il problema che ha investito Grecia, Irlanda e Portogallo. Non è pensabile invece che l'Europa possa agire efficacemente per risolvere il problema del debito sovrano italiano data la sua enorme dimensione. Pertanto spetta principamente al nostro Governo di provvedere e rapidamente.

Quel che occorre fare a questo punto credo sia chiaro. Dovremmo:
- Anticipare al 2012 le riduzioni di spesa previste per il 2013 e portare così il deficit dell'anno prossimo dal 2,7 almeno al 2% del Pil

- Mettere subito in cantiere un programma di privatizzazioni – immobili, municipalizzate, Bancoposta – che assicuri i circa 32 miliardi necessari per azzerare nel 2012 il ricorso netto al mercato da parte dello Stato. Un simile annuncio sarebbe in grado di indurre chi ha venduto allo scoperto a ricoprirsi velocemente, riportando in alto le quotazioni dei nostri titoli pubblici, riducendone il tasso d'interesse

- Occorre che alcuni rubinetti di spesa pubblica vengano chiusi una volta per tutte. A questo fine è necessario riprendere il processo legislativo per abolire le Provincie, come pure quel gran numero di dipartimenti dell'amministrazione centrale dello Stato che hanno finito per snaturare i ministeri senza portafogli, dotandoli di una struttura burocratica permanente che, per il solo fatto di esistere, richiede ogni anno stanziamenti di spesa.

Questo è quel che occorre fare. Ma c'è qualcosa che non si deve fare. Mi riferisco a una imposta straordinaria sul patrimonio delle famiglie, ipotesi che viene formulata da diverse parti, anche quelle insospettabili di tentazioni giacobine. È infatti invalsa l'idea di contrapporre al grande debito pubblico il patrimonio privato alludendo all'eventualità che lo Stato possa prima o poi abbattere il proprio debito appropriandosi del patrimonio privato. È questa un'ipotesi sciagurata; foriera di gravi danni tanto sul terreno dell'efficienza quanto su quello dell'equità. Dirò perché.

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