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Questo articolo è stato pubblicato il 26 luglio 2011 alle ore 07:36.

Questa volta non è stato un problema di tempi, ma di metodo. Il risultato però è lo stesso: la multinazionale dei mobili Ikea cancella l'investimento da 70 milioni per costruire il secondo negozio in Piemonte, che avrebbe portato 250 posti di lavoro.
A poco più di due mesi di distanza, si ripete il copione che aveva sollevato un polverone in Toscana, dove Ikea ha cancellato l'investimento, sempre da 70 milioni e 300 posti di lavoro, a Vecchiano vicino Pisa, dopo aver atteso per sei anni l'autorizzazione comunale.
In Piemonte il via libera del Comune di La Loggia, nella cintura torinese, è arrivato in tempi rapidi, ma a mettersi di traverso, dopo un accordo ormai raggiunto su oneri urbanistici e compensazioni ambientali (in tutto 17,3 milioni a carico di Ikea), è stata la Provincia di Torino, che ha bloccato il cambio di destinazione d'uso - da agricola a commerciale - dei 160mila metri quadrati sui quali avrebbe dovuto insediarsi la società svedese, paventando il rischio di una speculazione immobiliare.
Per Ikea la "lotta" tra amministrazioni locali di centrosinistra è stata una vera sorpresa: «Decisione incomprensibile - spiegano al quartier generale milanese di Ikea Italia - con questi presupposti non si può continuare, e infatti la casa madre ha deciso di riallocare l'investimento nel Sud Europa».
È la stessa formula usata in maggio quando si consumò la fuga della Toscana, che riporta alla ribalta i vincoli allo sviluppo incontrati in Italia, e alimenta quello che il presidente toscano Enrico Rossi (Pd) ha definito «tribalismo territoriale». A questo punto l'unico cantiere aperto di Ikea in Italia è quello di Chieti-Pescara, che porterà a 20 i negozi nel nostro Paese. E l'unica altra pratica che sta andando avanti spedita è quella per l'apertura a Perugia. E poi? «Il nostro raggio d'azione è europeo. Se non facciamo il secondo negozio a Torino, apriremo a Nizza o a Ventimiglia», risponde il responsabile relazioni esterne Valerio Di Bussolo.
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