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Questo articolo è stato pubblicato il 04 agosto 2011 alle ore 14:28.

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La crisi del debito greco ha sollevato questioni sulla possibilità o meno che l’euro sopravviva senza la centralizzazione, del tutto inimmaginabile, della politica fiscale. Esiste una strada più semplice. L’indebitamento irresponsabile da parte dei governi nei mercati internazionali del credito è riconducibile all’attività creditizia irresponsabile. Gli enti di vigilanza bancaria dovrebbero solo dire basta a tale attività avvalendosi degli istituti che rientrano a pieno titolo nella loro sfera di competenza.

La concessione di prestiti ai governi esteri è per certi versi più rischiosa dei titoli di debito privati non garantiti o dei bond spazzatura. I privati che contraggono un prestito spesso offrono garanzie collaterali come la casa. La garanzia limita il rischio di downside dei creditori, e il timore di perdere i beni vincolati incoraggia i debitori ad agire con prudenza.

Ma i governi non offrono alcuna garanzia collaterale, e il loro principale incentivo al rimborso – il timore di essere tagliati fuori dai mercati internazionali del credito – deriva da una perversa assuefazione. Solo i governi che sono cronicamente incapaci di finanziare i propri sborsi attraverso le tasse domestiche o i titoli di debito nazionale continuano a chiedere in prestito ingenti somme all’estero. L’ardente desiderio di favorire i creditori esteri solitamente deriva da una forma profondamente radicata di errata governance.

Il debito commerciale prevede comunemente alcune covenants o clausole che limitano la propensione al rischio del debitore. Le covenants sui prestiti o sulle obbligazioni spesso chiedono ai beneficiari di concordare il mantenimento di un livello minimo di capitale azionario o disponibilità di cassa. I titoli di stato, invece, non prevedono covenants.

In modo analogo, i beneficiari privati rischiano il carcere se falsificano la propria condizione finanziaria per garantire i prestiti bancari. Le leggi sui titoli richiedono agli emittenti di bond societari di dichiarare esplicitamente tutti i possibili rischi. Per contro, i governi non pagano penali per dichiarazioni oltraggiose o contabilità fraudolenta, come dimostra la débâcle greca.

Quando i beneficiari privati si rivelano insolventi, i tribunali fallimentari sovrintendono al processo di bancarotta o di riorganizzazione mediante il quale anche i creditori senza garanzia possono sperare di recuperare qualcosa. Ma non esiste nessun processo per liquidare uno stato e nessuna sede processuale giuridica per la rinegoziazione dei debiti. Peggio ancora, il debito che gli stati contraggono all’estero è solitamente denominato in una valuta il cui valore non è sotto il loro controllo. Per questo raramente si opta per una graduale e invisibile riduzione del peso debitorio mediante svalutazione monetaria.

Il potere di ricorrere alla tassazione è concepito per rendere più sicuro il debito pubblico: i beneficiari privati non hanno voce in capitolo sui profitti o sui salari di cui necessitano per soddisfare i propri obblighi. Ma il potere di tassazione ha dei limiti pratici, e resta discutibile il diritto morale o giuridico dei governi di obbligare le future generazioni di cittadini a rimborsare i creditori esteri.

La concessione di prestiti agli stati implica pertanto rischi insondabili che ricadranno su specifici individui, disposti a pagarne le conseguenze. Storicamente, l’attività creditizia sovrana veniva gestita da alcuni intrepidi finanzieri, che conducevano abili affari ed erano esperti di gestione della cosa pubblica. La concessione di prestiti ai governi a fronte della garanzia collaterale di un porto o di una ferrovia, o l’uso della forza militare per garantire il rimborso, erano pratiche ben note.

Dopo gli anni 70 la concessione di prestiti sovrani fu istituzionalizzata. Citibank – il cui direttore generale, Walter Wriston, una volta disse che i paesi non falliscono – diede inizio a tale pratica, riciclando un’ondata di petrodollari a dubbi regimi. Si trattava di un’attività più lucrosa della tradizionale pratica creditizia: alcuni banchieri potevano concedere ingenti somme tenendo in scarsa considerazione la due diligence – salvo un piccolo dettaglio: i governi che offrono prestiti facili talvolta falliscono.

Successivamente, gli accordi di Basilea stuzzicarono l’appetito delle banche che decisero di acquisire un maggiore numero di titoli di stato spacciandoli per titoli privi di rischi. Le banche si fecero carico del debito ad alto rendimento di paesi come la Grecia, perché non serviva altro che accantonare un capitale molto basso. Il debito era ad alto rating, ma come si potevano valutare in modo oggettivo le obbligazioni non garantite e praticamente non vincolanti?

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