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Questo articolo è stato pubblicato il 20 agosto 2011 alle ore 08:14.

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La direttiva europea sulle emissioni di anidride carbonica potrebbe dal 1° gennaio prossimo pesare sui bilanci dell'Alitalia «fra i 30 e i 70-80 milioni di euro in tre anni», stima Rocco Sabelli, amministratore delegato della compagnia. Il divario della stima dipenderà soprattutto da quali quotazioni avranno i diritti europei di emissione di CO2, quelli che Sabelli chiama «i punti verdi»: oggi una tonnellata di anidride carbonica è quotata attorno alla decina di euro.
Una randellata per il bilancio fragile della compagnia aerea, convalescente dopo gli anni bui della crisi e ora impegnata in un piano di investimenti in nuovi aerei. Non a caso un mese fa Sabelli ha scritto una lettera di diffida al Comitato interministeriale di gestione del Protocollo di Kyoto, l'organismo governativo che sovrintende in Italia l'applicazione delle regole sulle emissioni di CO2. I due co-presidenti del Comitato, Corrado Clini (ministero dell'Ambiente) e Sara Romano (Sviluppo economico), hanno scritto una risposta a Sabelli, spiegando che la direttiva europea lascia poco margine di intervento e che l'unica soluzione è intervenire tramite il Governo.
Spiega Corrado Clini dell'Ambiente che «i margini negoziali sono stretti, ma dobbiamo riuscire a far riaprire la discussione a Bruxelles». Aggiunge Sabelli dell'Alitalia che «con il ministero dell'Ambiente, con in quale condividiamo una visione molto vicina, stiamo percorrendo le strade possibili sotto il profilo normativo e formale, le sole che ci permettono di far riflettere la Commissione europea. Speriamo di portarci dietro altri Paesi europei le cui compagnie aeree si trovano in condizioni simili».
Sabelli chiarisce: «Non vogliamo contestare l'obiettivo ambientale, che condividiamo appieno, ma vogliamo intervenire su quegli aspetti che, dati alla mano, sono inappropriati. È una corsa contro il tempo su un tema di fondo, quasi ideologico: non ha senso colpire il trasporto aereo, che trappresenta il 2-3% delle emissioni. Centro, dobbiamo collaborare nel ridurre le emissioni, ma serve una pausa di riflessione perché il tema sia affrontato con ragionevolezza».
La direttiva europea sulle emissioni di anidride carbonica, il gas che si sviluppa dalla combustione ed è accusato di cambiare il clima del mondo, si chiama Emissions trading scheme e prevede che alcuni settori a forte intensità energetica abbiano un tetto massimo di emissioni. La direttiva europea è stata allargata anche al settore dei trasporti aerei, e avrà valore dal 1° gennaio prossimo. Modellata in analogia con le regole degli altri comparti economici ad alta intensità di emissioni, la normativa per gli aeroplani è stata negoziata un paio di anni fa con le grandi companie europee e si attaglia bene attorno alla struttura organizzativa di Lufthansa, British Airways, Air France. L'indice su cui calcolare le emissioni si basa sul rapporto tra il numero dei passeggeri e i chilometri volati.
Con questo metodo di calcolo sono più penalizzate le compagnie di dimensioni nazionali o europee, che fanno molti voli brevi e frequenti. Meno sofferenze invece per le compagnie proiettate sui voli intercontinentali, che viaggiano strapieni su percorsi lunghissimi e cadenze rarefatte. Non a caso durante il negoziato di due anni fa l'Italia aveva proposto due diversi indici, uno per i voli intercontinentali e uno per le linee interne all'Europa. Posizione, quella italiana, inascoltata. «Inoltre il meccanismo di calcolo conta lo "storico" dei consumi – aggiunge Sabelli – ma la nuova Alitalia è partita nel gennaio 2009 con la flotta più giovane d'Europa: viene colpito chi, come noi, più investe in motori nuovi a basse emissioni».
Imbufalite le compagnie cinesi e statunitensi (si veda l'articolo a destra), e in questi giorni la Commissione Ue, abbandonata la posizione rigorosa della commissaria al Cambiamento climatico Connie Hedegaard, sta esaminando se adottare per i voli con Cina e Usa un meccanismo di "opt out" (ovvero esclusione dagli impegni) per le compagnie che assumano «misure equivalenti». Locuzione generica che lascia spazio a mille distorisoni. Difatti questa facilitazione riguarderebbe tutte le compagnie sulle rotte tra Europa, Usa e Cina, compresi colossi europei dei viaggi di lunga durata. «Se invece le compagnie non europee vincessero i ricorsi che hanno presentato, e venissero esentate dalle regole – accenna l'amministratore delegato dell'Alitalia – si aggiungerebbe un altro elemento di distorsione della concorrenza sui viaggi intercontinentali, a scapito di tutte le compagnie europee».
C'è infine un altro effetto: il rincaro dei costi avvantaggerà chi non passa per l'Europa. Come sta facendo Emirates (con base a Dubai), che cerca di assicurarsi il mercato tra Est e Ovest del mondo saltando l'Europa. «Un aereo che farà la linea (poniamo) Tokyo-Roma pagherà le emissioni dell'intero viaggio. Un aereo che farà scalo a Dubai pagherà le emissioni del solo tratto Dubai-Roma e inquinerà di più», conclude Sabelli.
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