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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2011 alle ore 09:10.

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di Rita Fatiguso
Fosse per loro, se ne starebbero acquattati nell'ombra. Tanto, gli basta l'orgoglio di essere passati dalla condizione di zagong, manovali, a quella di laoban, imprenditori.

Per i cinesi imprenditori che contano nelle Chinatown italiane ci sono posti in prima fila all'opera di Roma quando è visita il premier Wen Jabao o tavoli d'onore all'inaugurazione delle nuove filiali di Bank of China o Icbc. Ma loro non sgomitano per candidarsi a premi tipo il Moneygram Award destinato ai migliori immigrati imprenditori, semmai assistono seduti in platea.

Eppure non c'è etnìa più vocata per cultura all'imprenditorialità come quella dei cinesi, specie i whenzouren, gli immigrati provenienti da Wenzhou, capitale della provincia dello Zehjiang a Sud Est della Cina: sette milioni di abitanti, il 25% all'estero. Lì si pianta il seme della carica dei laoban, dei padroni orgogliosi di esserlo. In ogni cinese c'è un laoban, basta aspettare che la vocazione maturi. In mezzo c'è tanto gongzhuo, lavoro.

«Il gran salto l'hanno già fatto emigrando - dice Ferruccio Pastore, sociologo, autore di una recentissima ricerca intitolata «Diventare Laoban», quinto rapporto di ricerca realizzato insieme dalla Camera di commercio di Torino e dal Forum internazionale ed europeo di ricerche sull'immigrazione - oggi la madrepatria li sostiene nell'amplificare gli investimenti. Quarta etnia in Italia e in Europa, i cinesi sono al primo posto nel flusso di rimesse all'estero». «Una realtà frammentata, nonostante le apparenze», aggiunge la ricercatrice Melissa Blanchard. Vero. Basta guardare alla galleria in questa pagina: c'è la manager che inaugura l'albergo per cinesi e l'imprenditore della pelle che torna a investire in Cina, l'avvocato di seconda generazione e l'animatore di eventi con il pallino dell'industria delle calzature. A Milano nascono due imprese nuove al giorno, dice la Camera di commercio che su di loro ha un faro sempre acceso. Dei cinesi é noto, del resto, l'alto tasso di imprenditorialità e di occupazione, elevato volume di affari, cospicua presenza femminile, forti legami con la comunità e la famiglia, che assicura lavoro, formazione e prestiti.

Le imprese individuali cinesi in Italia superano le 36.800 unità. Oltre la metà di queste sono localizzate in tre regioni: Toscana (22%), Lombardia (18%), Veneto (11%). Il Piemonte è l'ottava regione. Per quanto riguarda le province, oltre 4mila imprese individuali cinesi, pari all'11,5% del totale, sono localizzate nella provincia di Prato, 3.500 nella provincia di Milano (pari al 9,6% del totale), 3mila (l'8%) nella provincia di Firenze. Torino, con poco più di 1.000 ditte individuali localizzate nella sua provincia (1.087 imprese individuali in capo a imprenditori nati in Cina), si trova al sesto posto nella graduatoria provinciale, dopo Roma e Napoli dove sono localizzati rispettivamente il 6% e il 4% del totale degli imprenditori individuali cinesi.

In realtà quali Prato, Firenze, Milano, il peso dei cinesi sul totale degli imprenditori individuali attivi è rispettivamente pari al 25%, al 5,6% e al 3% e la comunità cinese conta per il 68%, 27% e 15,5% sul totale degli imprenditori individuali stranieri. Sono più giovani della media, attivi nelle attività manifatturiere (nel settore tessile), il commercio e la ristorazione.
Il volume d'affari delle imprese con titolare cinese, oltre 46 milioni di euro nel 2008, è secondo solo alla collettività romena, in cui il numero di imprese è quattro volte maggiore. Il fatturato medio degli imprenditori cinesi è tra i più elevati (oltre 63mila euro), dopo gli egiziani e i tunisini: metà delle imprese riporta un fatturato sotto i 20mila euro, mentre un ulteriore 30% registra un fatturato oltre i 50mila euro.

C'è una bassissima propensione all'imprenditorialità svolta in associazione con stranieri di altre nazionalità: soltanto il 2% del totale. Ma è il network, le guanxi, a prevalere. Il legame primario delle reti dei cinesi all'estero è con la madrepatria, ma il transnazionalismo della diaspora cinese è complesso: il finanziamento delle imprese in Italia può essere sponsorizzato da parenti e connazionali emigrati in altri paesi europei, in forma diretta, attraverso prestiti finalizzati all'apertura di imprese, o cerimonie famigliari (matrimoni), che mobilitano ingenti capitali in una logica di reciprocità. Adesso, ci si mettono anche le banche cinesi. C'è da scommettere, la carica dei laoban crescerà.

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