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Questo articolo è stato pubblicato il 30 agosto 2011 alle ore 19:05.

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Le nuove propensioni al consumo (Corbis)Le nuove propensioni al consumo (Corbis)

Lo chiamano bio-boom, ed è una tendenza che dal mercato retail si sta propagando nel mondo della ristorazione italiana, ancora indietro però rispetto allo sviluppo della bioalimentazione che nei paesi del Nord Europa è già uno standard. Ma che significa “bio”? L’agricoltura biologica è detta così perché ammette solo l’impiego di sostanze naturali: no a coloranti di sintesi, additivi, o ingredienti derivati da Ogm. I prodotti “bio” sono realizzati – da regolamento Ue 834/07 – con almeno il 95% di ingredienti certificati, e hanno un proprio logo di riconoscimento.

I dati sulla vendita degli alimentari nel 2010 diffusi dall’Ismea hanno evidenziato come nel corso dello scorso anno gli italiani abbiano speso l’11,6% in più rispetto al 2009 per acquistare prodotti biologici confezionati. E questo mentre i consumi alimentari sono al palo, e nonostante il biologico mantenga una media dei prezzi superiore al 20-30% rispetto ai prodotti convenzionali. Così nel valore di 60 miliardi generato dal consumo fuori casa, una (ancora minima) parte proviene da 434 biolocali, di cui 221 al Nord, 132 al Centro e 61 al Sud (dati Bio Bank; criterio: almeno il 70% di bio). Cresciuti quindi del 7,9% rispetto al 2009. «L’inaugurazione di locali bio e l’aumento delle vendite del biologico dimostrano che la cultura si sta radicando», è il commento di Roberto Pinton, segretario di AssoBio.

Mangiare slow
Gli orientamenti alimentari degli italiani, come sottolinea una ricerca promossa da Coldiretti e realizzata dal Censis, sono segnati da una sorta di “politeismo alimentare”. Significa che le persone sono propense a mangiare di tutto senza tabù, con combinazioni soggettive di alimenti e anche di luoghi dove acquistare o mangiare. All’insegna della massima variabilità. Ma se quindi i contorni delle abitudini sono indefiniti, ci sono comunque alcune tendenze “forti”, come l’aspetto salutistico del cibo, meglio se arricchito da valori equo solidali e di sviluppo sostenibile.

Ad incidere fortemente sul cambiamento delle abitudini alimentari, su un loro ritorno all’etica, è il pensiero nato sulla scorta dell’esperienza di Slow Food, che si batte per la difesa della biodiversità, delle tradizioni agricole ed enogastronomiche di ogni parte del mondo. Contro il dilagare dei fast food. E a favore del Km 0, visto che un pasto medio percorre in media 2mila chilometri prima di giungere a tavola (fonte: Coldiretti), anche a causa di stili di vita poco attenti alla stagionalità nei consumi. Senza contare che una corretta cultura alimentare ridurrebbe anche la diffusione dell’obesità, soprattutto infantile, che grava su diversi paesi, Stati Uniti in testa (dove un bambino su tre è obeso o sovrappeso: 31,7%). In molti individuano nella dieta mediterranea un baluardo contro questo tipo di problemi.

Altro capitolo è quello dei consumatori allergici. Sono  in aumento e per loro bisogna cominciare a provvedere un menu studiato ad hoc, stoviglie dedicate, e – possibilmente – un cameriere preparato sulle problematiche. Per quel che riguarda il menu, servirebbero la collaborazione e la certificazione di un dietologo, per illustrare gli ingredienti utilizzati per ogni preparazione, elencare gli alimenti allergenici esclusi dal menu, illustrare come avviene la preparazione dell’alimento. Ma purtroppo non sono ancora molti i ristoratori italiani a dar peso a questa tematica.

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