Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2011 alle ore 07:40.

Quando sul palco dell'Alte Oper di Francoforte, Jean-Claude Trichet ha passato a Mario Draghi la campanella con cui aprire e chiudere le riunioni di consiglio, il presidente uscente e quello entrante della Banca centrale europea si sono scambiati anche un sorriso tirato. Il primo ha lasciato, palesemente a malincuore, il mandato e le luci della ribalta (anche se ci sono pochi dubbi che riemergerà presto in qualche altro incarico europeo) con la consapevolezza di aver retto il timone in quella che lui stesso ha definito «la peggior crisi dal Dopoguerra» ma anche di non aver condotto l'unione monetaria definitivamente al sicuro. Il secondo, pur avendo voluto fortemente l'incarico, lo assume, da oggi, sapendo che può trattarsi, come ha ammesso nella stessa occasione, di «un compito impossibile».
Draghi non godrà del lusso toccato a Trichet al suo insediamento, quattro anni relativamente tranquilli per l'economia e i mercati, e anzi sarà sottoposto al battesimo del fuoco già giovedì prossimo, con la prima riunione di consiglio. «In comune con Trichet - dice Julian Callow, economista di Barclays Capital - Draghi vorrà mostrarsi più duro all'inizio del mandato e attento a non sembrare troppo aggressivo».
Con un'aggravante: il passaporto italiano. Su due dei temi più spinosi dell'inizio della sua presidenza, un possibile taglio dei tassi d'interesse e l'acquisto di titoli pubblici sul mercato da parte della Bce, dovrà confrontarsi non solo con circostanze obiettivamente difficili e con le divisioni sorte all'interno della Bce stessa nell'ultima fase dell'era Trichet, ma anche con la propria nazionalità. E il fatto che l'Italia sia stata ormai correttamente identificata come il vero fulcro della crisi europea. Proprio perché italiano, e al di là del merito delle decisioni, l'ex governatore della Banca d'Italia dovrà fare i conti con le possibili accuse, che vorrà evitare a ogni costo, di essere troppo tenero nella lotta all'inflazione se dovesse spingere per un taglio dei tassi immediato e di voler favorire il proprio Paese se insistesse con gli acquisti di debito pubblico che oggi riguardano soprattutto l'Italia.
«Sarà un banchiere centrale pragmatico», diceva la sera dell'Alte Oper il capo economista del Fondo monetario, Olivier Blanchard, che di Draghi è amico dai tempi in cui entrambi erano studenti sulla via del dottorato al Massachusetts Institute of Technology. Il fatto che lo stesso Blanchard abbia preferito non commentare i problemi che attendono Draghi alla Bce è rivelatore di quanto la posizione, e l'interpretazione che ne darà il banchiere centrale italiano, sia delicata. Stan Fischer, che di Draghi è stato uno dei maestri all'Mit e gli è anche lui molto vicino, è «fiducioso che sappia affrontare con successo le sfide» per la Bce, e sostiene che il presidente entrante è «altamente qualificato ed esperto nelle aree più rilevanti per il suo nuovo lavoro», oltre ad avere gli attributi personali necessari. Anche Fischer, uno dei teorici dell'indipendenza della Banca centrale, oggi governatore della Banca d'Israele, riconosce che «ciascuno dei 17 Paesi membri ha davanti sfide diverse e tremende».
Il primo nodo da sciogliere per la Bce della neonata era Draghi sarà la decisione sui tassi d'interesse da prendere giovedì. Il dato dell'inflazione di ottobre, ferma al 3% del mese precedente, può far pendere definitivamente la bilancia verso tassi immutati, dando il tempo a Draghi di costruire la propria credibilità anti-inflazione, anche se le aspettative sono "ancorate" e sia i mercati sia la stessa Bce prevedono che l'inflazione scenda rapidamente verso, e sotto, il tetto del 2% nei prossimi mesi. È presumibile che, una volta lasciato alle spalle il debutto di Draghi, la Bce riduca i tassi in misura da correggere i 50 punti basi di rialzi decretati negli ultimi mesi. La Bce, sostiene Guntram Wolff, del centro studi Bruegel, che ha scritto un saggio sulle "enormi sfide" per il prossimo presidente, deve tagliare ora, ma mettendo bene in chiaro che non cederà in futuro a pressioni politiche per cercare di risolvere la crisi del debito sovrano con un aumento dell'inflazione.
Ma è sulla questione degli acquisti di debito pubblico (quasi 180 miliardi di euro) che la Bce di Draghi si trova davanti al bivio più importante per determinare che tipo di istituzione sarà. È la decisione più controversa del mandato di Trichet e il casus belli che ha portato alle dimissioni di Axel Weber dalla presidenza della Bundesbank e di Jürgen Stark dal consiglio della Bce, il punto su cui si è spaccato il board. La Bce non può essere la banca che salva i Governi o li mette in condizione di non prendere le difficili misure necessarie, ma, per ora, e probabilmente anche dopo che il fondo salva-Stati Efsf nella sua nuova forma sarà operativo, resta l'unica istituzione europea in grado di far fronte alle emergenze. Con la campanella, Trichet ha passato nelle mani di Draghi anche una bella patata bollente.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Permalink
Ultimi di sezione
-
Gli economisti
Perché preoccuparsi per la Francia?
di Paul Krugman
-
gli economisti
Krugman: il dibattito sull'austerity è politicizzato
di Paul Krugman
-
Italia
A Theory About European Naval Domination
di Paul Krugman
-
Italia
Una teoria sul predominio navale dell'Europa
di di Paul Krugman
-
IL PIANO JUNCKER
Gros: consumi prima che investimenti
di Daniel Gros